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la nota stonata #26

Tutti rigoristi con i rigori degli altri

Enrico Veronese

Sono assegnati troppi rigori in Serie A? Probabilmente sì. Non tutti però si segnano, soprattutto se in porta c'è Vanja Milinković-Savić

Rigore è quando arbitro fischia. E fischia sempre più spesso, in base ai canoni del nuovo regolamento: oltre il concetto di rigorino, nasce la specie del “mai rigore”, invocata da Vincenzo Italiano a Parma e da altri prima di lui, per descrivere certi non-falli di mano. Se lo dicono tecnici e calciatori, i primi tra gli addetti ai lavori, cosa ci vuole alle teste d’uovo della Federazione per cambiare il regolamento e restituire la massima punizione al suo significato primigenio, ovvero compensazione per il volontario quanto antiregolare stop a un’azione marcatamente offensiva?

   

Ci sta che con meno dischetti (e meno fuorigioco meccanici, innaturali, di decimali), a qualche attaccante passerebbe la voglia di mettersi contro la propria squadra e il tecnico, nella smania di aggiornare la classifica dei cannonieri in un modo solo apparentemente facile. Per ogni Lorenzo Lucca che sfida tutto e tutti insaccando all’incrocio - e poi dileguarsi, il suo lo aveva fatto - c’è un Ademola Lookman che contravviene e sbaglia, quando la porta si fa sempre più piccola per chi tira dagli undici metri, tanto quanto si fa grande per chi dovrebbe parare. Tanto che gli frega, andrà via.

  


Questa è "La nota stonata", la rubrica di Enrico Veronese sul fine settimana della Serie A, che racconta ciò che rompe e turba la narrazione del bello del nostro campionato che è sempre più distante da essere il più bello del mondo


   

Il rigore si può anche sbagliare, appunto: serve farlo sapere a chi esulta preventivamente per la sua concessione. Specie se tra i pali c’è Vanja Milinković-Savić, che ipnotizza Christian Pulisic e para il suo quarto penalty stagionale: primo leader di squadra, se ce n’è uno, come un tempo non di rado erano i portieri. In un torneo che potrebbe tornare giardino personale di Lautaro Martínez, se solo lo volesse, il puntiglio del granata è lo stesso di Giacomo Raspadori: se gioca segna, e sarebbe titolare in qualsiasi squadra al centro dell’attacco, non è detto che la via del gol sia dei pennelloni fisicati.

   

Inter vince, Napoli perde, Atalanta non molla: il gioco delle tre carte stavolta dice questo, e allargare la considerazione alla mancanza di vittorie partenopee nell’ultimo mese non consente comunque di trarre indicazioni definitive dai meri risultati. Perché la squadra nerazzurra ha sofferto e rischiato pur di avere la meglio sul Genoa, e gli uomini di Antonio Conte hanno pagato un errore irripetibile oltre allo sfrontato talento degli avanti comaschi. Presto la situazione potrebbe essere capovolta, con l’Inter ancora in lizza negli ottavi di Champions League, mentre le rivali no.

   

Europa Europa, un altro mondo: lo si è visto con le eliminazioni di tre quarti del contingente italiano per mano del vecchio Benelux. Tra le tante motivazioni del flop congiunto, non pare peregrina quella che lo attribuisce anche a un calo della condizione fisica, dopo le superflue fatiche d’inizio anno per la Supercoppa in Arabia. Gli è che fuori dai confini il calcio va di corsa, pure troppo, e diventa un flipper nel fazzoletto di zolle, là dove il tiki-taka implicava un surplus di veloce ragionamento per i sopraffini Xavi González e Andrés Iniesta, senza affollare l’area.


Intanto la nuova formula della Champions pre SuperLega ha rimescolato le carte, e dato nuova centralità al calcio olandese, come fu nel 1988: due squadre agli ottavi della competizione principe, altrettante nella sempre meno gregaria Europa League. E avrebbe potuto essere en plein, senza la sconfitta tardiva del Twente. Lontani dai riflettori, con una Nazionale perennemente sottovalutata dopo gli anni dei fasti, tra i polder si affaccia un nuovo calcio antico, capace sempre di coniugare la forza e la fantasia, l’ubiquità sopra il terreno e l’adattamento veloce: il calcio di Tijjani Reijnders.

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