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Cesc Fàbregas, 38 anni, è arrivato sulla panchina del Como nell’autunno del 2023 dopo aver cominciato nelle giovanili (foto LaPresse)
Il Foglio sportivo
Cesc Fàbregas vede il calcio che gli altri non vedono
Il Lago, la pazienza, il bel gioco, i soldi: ecco perché il Como sta cominciando a far divertire la Serie A
Il Lario sa ascoltare. Non che gliene freghi qualcosa di ciò che gli uomini hanno da dirgli, ma è cheto e non disturba, sembra quasi attento, come i buoni ascoltatori. A volte il Lago sussurra qualcosa, ma serve attenzione per comprendere cosa. Di solito sono ninnananne, sa pacificare il Lago. Le sue acque scure hanno il dono di acquietare nervosismi e arrabbiature. Basta osservarle, scrutarne i movimenti, le increspature.
Alda Merini era convinta che non ci fosse “momento migliore che novembre per stare un po’ con il Lago”, perché “in quei giorni di mezzo sole e mezzo vento si colora come mai fa nelle altre stagioni” ed in quei giorni “se si sa ascoltarlo bene, ti suggerisce quello che sai già”, ma che hai in qualche modo voluto ignorare.
Era un giorno di metà novembre del 2023, il 13, quando Carlalberto Ludi andò da Moreno Longo, l’allenatore del Como. La squadra aveva vinto per 0-1 due giorni prima la partita contro l’Ascoli, era sesto in classifica, si giocava la promozione in Serie A.
Tutto bene se non fosse per un dettaglio. Il proprietario e presidente Robert Budi Hartono, il copresidente Michael Bambang Hartono, fratello di Robert, e un paio di consulenti molto ascoltati dai due, arrivarono alla conclusione che a vedere quella squadra non si divertivano. E cosa resta del calcio se non ci si diverte?
Il 13 novembre del 2023 era una giornata di mezzo sole e mezzo vento. Una nebbiolina bianca e lieve gravitava tra il Baradello e Brunate, ma solo nel primo mattino. Il Lago intanto dava del suo meglio, almeno nel coloriage, almeno per Alda Merini.
Qualcuno decise di ascoltare il Lago. O quantomeno di farsi suggerire quello che già sapeva.
A Moreno Longo dissero che era finita, che era sollevato dall’incarico. Il Como cambiava allenatore.
Sembrava una cosa senza senso. Perché cambiare un allenatore che l’anno precedente aveva tolto dai bassifondi della Serie B e salvato una squadra mal pensata e poi l’aveva guidata nelle prime tredici giornate della stagione 2023-2024 nelle prime posizioni – perdendo solo tre partite, e contro Venezia, Cremonese e Parma, ossia tre delle pretendenti alla promozione –, non sembrava qualcosa che avesse senso. Perché sostituirlo con un allenatore che aveva allenato soltanto la Primavera, e nemmeno troppo bene (era settima in campionato con tre vittorie, tre pareggi e due sconfitte), di senso ne aveva ancor meno.
Il Como, e pure Como a dire il vero, voleva però Cesc Fàbregas. E Cesc Fàbregas quel 13 febbraio del 2023, in quella giornata di mezzo sole e mezzo vento divenne l’allenatore dei laghèe.
Lo spagnolo era arrivato in riva al Lario il primo agosto del 2022. I piedi erano sempre gli stessi di sempre: delicatissimi. La testa la solita: capace di vedere cose che non tutti i calciatori sono capaci di vedere. Il fisico però non funzionava più granché. Gli anni per lui erano corsi più velocemente che per altri e i suoi trentacinque anni di allora erano una condanna alla moviola. Non era mai stato un corridore rapidissimo, al Sinigaglia si muoveva al rallentatore.
Era quello un Como con molti soldi, grandi progetti, ma la volontà di fare le cose con calma, senza troppa fretta. Perché se c’è una cosa che Robert Budi Hartono e Michael Bambang Hartono avevano imparato dalla vita e dagli affari era che “chi ha fretta finisce in fretta in miseria”. Vale nella vita, negli affari, soprattutto nel calcio. Cesc Fàbregas era l’uomo giusto, nonostante avesse già superato il termine della carriera, per dare ordine, in campo, a una squadra con qualche giovane di ottime prospettive, qualche buon attrezzo da categoria, diversi giocatori che l’occhio di Carlalberto Ludi, non certo i big data o gli algoritmi, avevano considerato abili e arruolabili. E mentre si muoveva lento nel campo, in società capirono che quell’uomo poteva essere più che un giocatore di passaggio.
“Accadde più o meno verso dicembre. Cesc era infortunato, faceva lavoro differenziato, e guardava una partitella”, racconta al Foglio sportivo chi ha contribuito a creare quel Como e che ha lavorato nella costruzione del Como di Cesc Fàbregas. “Ci fece vedere cose che non avevano notato. Ci spiegò come avrebbe potuto muoversi la squadra, quello che aveva capito dal modo di allenare di Arsène Wenger, Tito Vilanova e José Mourinho. Soprattutto di come il calcio va troppo di fretta ultimamente per poter pensare di riproporre qualcosa. Mi colpì una frase: ‘Tutto va smontato e ricostruito un po’ alla volta’. Quel giorno capimmo che aveva in testa di allenare. E capimmo soprattutto che poteva diventare un ottimo allenatore”.
Il Como decise che poteva, doveva, puntare su di lui. Capì di aver fatto la scelta giusta nei primi mesi alla guida della Primavera nonostante i risultati non eccelsi. Sacrificò Moreno Longo pur di non perdere tempo, pur di non perderlo.
Quel 13 febbraio, in quella giornata di mezzo sole e mezzo vento, il Como decise di affidarsi a Cesc Fàbregas e di concedergli totale e indiscriminata fiducia.
Il Como conquistò la promozione in Serie A e in Serie A ha iniziato a vincere giocando come Cesc Fàbregas voleva giocare: all’attacco, lasciando liberi i suoi giocatori di fare ciò che meglio credono, ma con l’accortezza di non mettere mai il bene personale davanti a quello del gruppo.
Cesc Fàbregas a Como è rimasto perché ha capito che lì e solo lì poteva mettere in pratica ciò che aveva in testa. Perché in panchina Cesc Fàbregas non è diverso dal giocatore che è stato. Talentuoso sì, ma capace di non sovrastimarsi mai e, soprattutto, capace di capire pregi e difetti di chi ha davanti. E se c’è una cosa che Cesc Fàbregas ha capito giocando e vedendo giocare è che le idee possono pure far vincere le partite, che sul calcio si può pure filosofeggiare, se si ha voglia, ma in fin dei conti ciò che conta davvero sono i soldi, la pazienza e la possibilità di convincere i giocatori a venire in una squadra. E il Como aveva tutte queste caratteristiche.
Il resto ce lo ha messo Carlalberto Ludi e la sua capacità di fidarsi dei suoi occhi, alla faccia di big data, algoritmi e parolacce come moneyball.
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