(Ansa)  

Il Foglio sportivo

I segreti dell'affare Doncic, la “trade” del secolo in Nba

Lorenzo Vittorio Caprara e Federico Venturi Ferriolo

Nel calcio uno scambio come quello tra L.A. e Dallas sarebbe impossibile. Le profonde differenze tra il modello sportivo nordamericano e quello europeo. Gli atleti Nba, pur essendo figure centrali, simboli della cultura contemporanea e espressione dei valori e dell'immagine della lega, per certi versi godono di minori tutele contrattuali rispetto ai calciatori dei modelli europei

L’Nba è spesso definita una Player’s League, dove gli atleti sono protagonisti che godono di talmente tanta visibilità da essere in grado di influenzare notevolmente l’opinione pubblica, anche su temi sociali e politici. Molti atleti, anche grazie ai social media e alle loro personalità carismatiche, nel tempo sono riusciti a costruire brand personali molto forti che si sono affermati anche al di fuori del mondo del basket. Tuttavia, dietro questa immagine si cela un paradosso: gli atleti Nba, pur essendo figure centrali, simboli della cultura contemporanea e espressione dei valori e dell’immagine della lega, per certi versi godono di minori tutele contrattuali rispetto, ad esempio, ai calciatori dei modelli europei. Questa divergenza è il riflesso delle profonde differenze tra il modello sportivo nordamericano e quello europeo.


È salito agli albori della cronaca il recente scambio dei diritti alle prestazioni sportive delle due star Nba Luka Doncicće Anthony Davis, con i due giocatori che, stando a quanto riportato dalle principali testate giornalistiche, sarebbero rimasti sorpresi dallo scambio tanto quanto gli appassionati di Nba. In tanti hanno avuto modo di osservare che, purtroppo o per fortuna, una situazione del genere non potrebbe mai accadere nel calcio. Ma perché? La ragione origina nella profonda differenza tra i due “modelli sportivi”. Se nel modello nordamericano primaria importanza è attribuita all’equilibrio competitivo, nei modelli europei una maggiore attenzione è lasciata all’idea che tutti hanno la possibilità di “vincere”. Leghe chiuse nel modello nordamericano, promozioni e retrocessioni nel sistema europeo, dove anche i club più piccoli possono sognare di diventare campioni, ma dove vige una maggiore instabilità economica. Vi è poi il sistema del revenue sharing, dove i profitti i generati dalle franchigie più ricche vengono parzialmente ridistribuite per sostenere quelle meno (economicamente) performanti. Gli atleti sono così parte di un sistema solidaristico, in cui il contributo di ciascuno genera benefici per l’intera comunità.  


Nel modello europeo – e in particolare nel calcio – i rapporti tra atleti e club si fondano su una struttura binaria, composta da un lato dalla presenza di un contratto di lavoro e dall’altro su un tesseramento mediante il quale si diventa membri della federazione nazionale di riferimento, accettandone l’autorità e i regolamenti. Nel modello nordamericano i rapporti si reggono esclusivamente su un vincolo contrattuale che spesso trova la sua principale fonte regolamentare in un contratto collettivo, il Cba. Nel caso del basket, il Cba sottoscritto periodicamente dall’Nba e dalla National basketball players’ association (Nbpa) è un documento di oltre cinquecento pagine che disciplina nel dettaglio termini e condizioni dei rapporti di lavoro degli atleti della lega, regolando anche le cosiddette trade dei giocatori tra le squadre. Nel modello europeo gli accordi collettivi sono il frutto di un dialogo sociale finalizzato a stabilire condizioni minime che dovranno essere rispettate dai contratti individuali, muovendosi all’interno del quadro regolatorio stabilito dalla legge nazionale e dai regolamenti dell’Unione europea. Nel calcio, tali accordi si caratterizzano per la loro brevità, limitandosi a prevedere disposizioni generali e standard riguardo al contenuto necessario di un contratto di prestazione sportiva. A differenza dei Cba americani, questi accordi generalmente non prevedono alcuna disposizione avente a oggetto il regime dei trasferimenti.


Nell’Nba, il rapporto tra atleti e franchigie è regolato dall’Uniform player contract (Upc), un contratto individuale standard, definito dal Cba, che stabilisce termini essenziali come retribuzione, diritti e doveri dell’atleta, nonché la disciplina in caso di malattia o infortunio. La possibilità di negoziare clausole individuali è così limitata e nel momento in cui un atleta firma l’Upc, accetta preventivamente la possibilità di essere scambiato (traded) all’interno della lega, rinunciando così a monte alla possibilità di impugnare l’eventuale cessione del contratto.  Nel calcio europeo, il concetto di trade tipico degli sport nordamericani non è possibile in quanto il trasferimento di un calciatore richiede sempre la risoluzione del contratto di prestazione sportiva tra il calciatore e il club cedente e la sottoscrizione di un nuovo contratto di prestazione sportiva con il club acquirente.

In sintesi, la cessione del calciatore professionista si formalizza mediante la stipulazione del contratto di trasferimento tra la società cedente e la società acquirente; la risoluzione consensuale del contratto di prestazione sportiva in essere; la stipulazione di un nuovo contratto di prestazione sportiva e la modifica del tesseramento. Così, il consenso del calciatore diventa assolutamente indispensabile per potere perfezionare il trasferimento. In Italia, il lavoro sportivo prevede una serie di deroghe allo Statuto dei lavoratori per riflettere e adeguare la disciplina giuslavoristica sportiva alla specificità dello sport. Tuttavia, tali deroghe non si estendono al punto da consentire una modifica unilaterale della titolarità del contratto di lavoro. Al contrario, nel modello nordamericano, il Cba prevede deroghe più ampie alle normative giuslavoristiche tradizionali, riducendo significativamente le tutele che gli atleti avrebbero sotto la giurisdizione statale o federale. L’atleta Nba è formalmente dipendente della franchigia per cui gioca ma, in una certa misura, lo è anche dell’Nba. È infatti la lega a negoziare con la Nbpa le condizioni generali e i termini dell’Upc, lasciando alle singole franchigie la possibilità di introdurre deroghe limitate, nei confini stabiliti dal Cba. Nella Nba, i contratti vengono generalmente rispettati fino alla loro naturale scadenza, salvo decisioni unilaterali della franchigia. Nel calcio europeo, invece, il mercato è più fluido, con i calciatori che possono cambiare squadra più facilmente. 

In conclusione, se da un lato L’Nba pone l’atleta al centro del proprio sistema, dall’altro parrebbe lasciare una più ampia libertà alle franchigie rispetto ai club calcistici europei. Mentre le trade di atleti senza il loro consenso rappresentano una pratica comune e perfettamente integrata nel modello sportivo nordamericano, nel calcio europeo ciò sarebbe impraticabile, scontrandosi con il principio dell’autonomia negoziale, con le tutele giuslavoristiche degli ordinamenti nazionali, con il diritto comunitario e con la disciplina dei tesseramenti. Due mondi diversi, due filosofie opposte, che rendono impossibile il verificarsi di una trade alla Nba nel contesto calcistico.

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