Paolo Galbiati, allenatore dell'Aquila Trento (foto LaPresse)

Il Foglio sportivo

I segreti del basket di Trento

Francesco Gottardi

Un patto fra palla a spicchi, imprenditoria e territorio: “La Coppa Italia un sogno, ma portare i nostri atleti in Eurolega vale di più”. Le parole di Paolo Galbiati e Andrea Nardelli

La prima volta è una rincorsa lunga undici anni, schiacciati in tre giorni da antologia. “Nessuno ce li porterà mai via”. Cartoline da Trento, targate Coppa Italia. “Fra tanti anni rivedremo le foto di questa stagione e ce ne renderemo conto ancora di più”. Anche a distanza di un mese, “i piedi ben per terra e nessuna intenzione di farci travolgere dall’euforia: la missione resta sempre far sbocciare i nostri ragazzi, le vittorie ci segnalano che stiamo lavorando nel modo giusto”. Emozioni in archivio. L’immagine di copertina? “Toto Forray che alza il trofeo: aiutarlo a realizzare il suo sogno era uno dei desideri nella mia testa”. Di questo capolavoro di basket, Paolo Galbiati è l’ultimo arrivato e il grande artefice al tempo stesso. Ma parla come se allenasse l’Aquila da sempre, contagiato da chi è qui da una vita. “Avete idea dell’esempio che può offrire ai giovani una persona che da 14 anni gioca nello stesso club, incarnandone i valori dentro e fuori dal campo? A Trento tutti seguono Forray. Nel delirio dei festeggiamenti mi ha abbracciato forte: penso di aver sentito un “Grazie”. Mi è bastato vedere la sua faccia, le sue lacrime di gioia, per potermi godere tutto il resto”.

 

                         

 

Tra il cestista argentino e il coach lombardo ci sono appena due anni di differenza. Eppure Galbiati sembra già un veterano, due volte in cima alla competizione contro ogni pronostico. Da Torino a Torino: ieri la squadra – l’Auxilium campione nel 2018 – a febbraio il PalaOlimpico, teatro dell’estasi trentina. È stato il primo titolo per entrambe le storie societarie. Cos’è cambiato in questi sette anni? “Tante lezioni che spero di avere imparato, nel bene e nel male”, riflette. “Ma nessun segreto. Lo dico sempre ai miei ragazzi: io non vi devo motivare, siete dei professionisti, c’è la Coppa in palio e abbiamo tutte le carte per vincerla. Noi come le altre sette. È così che ho approcciato queste Final Eight. La preparazione tattico-fisica ha fatto il resto”. Galbiati esita un po’ a rituffarsi all’indietro. “La partita più importante è sempre la prossima”.

Insistiamo. “E allora vi dico che è stato un weekend complesso e intenso. Iniziato in sofferenza”, tra quarti e semifinale. “Due gare opposte: contro Reggio abbiamo patito, rincorrendo sempre; contro Trieste siamo stati avanti, poi ripresi, poi bravi a rivincerla. A quel punto, qualsiasi cosa sarebbe stata un di più”. L’Olimpia in finalissima. “Nel prepartita ci ripetevamo che la pressione più pesante era tutta su Milano. Noi invece eravamo pronti a giocarcela a cuor leggero: ci è riuscito tutto, a loro non granché”. Scarpette rosse al tappeto, 16 punti di scarto sotto i colpi di Ford e compagni. Un’apoteosi. “Un regalo per tutta Trento”.

La Coppa Italia è arrivata da underdog. Eppure l’Aquila avrebbe potuto riempire la bacheca già in altre occasioni: due finali scudetto, otto partecipazioni ai playoff, oggi un campionato per lunghi tratti da capolista. Attraverso svariati cicli tecnici, rilanciandosi, sorprendendo ogni volta fin da quell’unica promozione in Serie A nel 2014. Cosa significa fare basket sotto le Dolomiti? “Sentirsi parte di una grande cultura del lavoro”, spiega Galbiati. “È una città a misura d’uomo: senza traffico, distrazioni poche. L’ideale per concentrarsi sulla dimensione sportiva: la nostra filosofia è arruolare giovani affamati e spingerli oltre i loro margini di crescita. La società ci mette nelle condizioni migliori per riuscirci”.

Un patto fra palla a spicchi, imprenditoria e territorio. Ne abbiamo parlato anche con Andrea Nardelli, general manager dell’Aquila e trentino doc. “Questo trofeo ci fa capire che l’obiettivo del club è la strada giusta per rimanere sostenibili in termini economici, sportivi e di aspettative”, interviene il dirigente. “Non ci faremo prendere dall’euforia: magari torneremo a vincere, magari seguiranno momenti bui che fanno pure parte del percorso. L’importante è non tradire mai i nostri princìpi: anziché puntare su giocatori a fine carriera per risultati immediati e non sicuri, far crescere i nostri atleti è già una vittoria certa. Nelle ultime due stagioni abbiamo portato cinque ragazzi in Eurolega”, Spagnolo, Flaccadori, Grazulis, Baldwin, Hommes. “Questo è uno dei nostri indicatori chiave di prestazione: la Coppa Italia è la ciliegina sulla torta”.

Il tutto a budget ridotto. “L’anno scorso era sui 6 milioni, oggi poco oltre: è il nono-decimo del campionato. E se consideriamo solo la base squadra anche meno. Abbiamo sempre ripartito equamente gli investimenti fra sport e struttura. È l’essenza della progressiva evoluzione di Trento: cambiando ruoli, puntando sul capitale umano. Ai nostri stakeholder diciamo sempre che al 51 per cento ci concentriamo sulla pallacanestro e al 49 sulla creazione di valore per il territorio”. Lo specchio di tutte le attività dell’Aquila nel sociale. “Basket in carcere, progetti nelle scuole, collaborazioni con enti no profit ed eccellenze locali. Tutto è permeato sulle caratteristiche del Trentino”.

Il prossimo step è il più ambizioso. “Costruire un nuovo palasport”, dichiara Nardelli. “Ne stiamo parlando a più riprese: provincia, comune, amici di Trentino Volley. Puntiamo a un’arena polifunzionale di stampo europeo, dove far confluire sport e concerti. L’Aquila aspira a diventare un polo di attrazione regionale, mettendo le proprie idee per contribuire a valorizzare il patrimonio comunitario”. E i ragazzi di Galbiati sono gli sponsor designati. “Un gruppo di rara alchimia”, dirigente e allenatore all’unisono. “Finito di allenarsi, musica. Poi tutti insieme a mangiare fuori, nonostante il divario d’età”. Pare che sin dal ritiro in Val di Non, a unire la squadra siano state grandi partite a ‘Uno’. E altri giochi da tavolo. “Su tutti Anthony Lamb – insieme a Pecchia, tra i collanti dello spogliatoio – che un giorno si presenta in sede e si mette a giocare a Monopoly, variante Trentatré trentini, con il nostro ufficio stampa. Dobbiamo approfittare di questa atmosfera, perché difficilmente ci ricapiterà: non vuol dire vincere lo scudetto, ma nemmeno togliere il piede dall’acceleratore”.

Per Galbiati, cresciuto nel mito di Kobe e LeBron, è tempo di “ributtarsi a lavorare duro, ogni partita andrà sudata”. Servono ispirazioni extra. “Guardavo in questi giorni un documentario su Parigi 2024: il pallone a cinque cerchi mi fa sempre venire la pelle d’oca. Come da ragazzino, quando mi pagai il viaggio di maturità per volare alle Olimpiadi di Atene”. Davanti a Basile e Pozzecco, se lo sarebbe mai immaginato di arrivare quassù? “Assolutamente no. È anche questo il bello e l’imprevedibile dei sogni”. A Trento ormai hanno una forma.