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Il Foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza
La grande Europa del calcio, degna di un nuovo Manifesto
Agnelli, Florentino Perez e gli altri hanno intuito l’esigenza di allargare i confini, sbagliando però le basi sui cui fondare il nuovo ordine, a cominciare dal nome “Superlega”. Occorre un’idea sociale intelligente, nel rispetto del passato e del futuro
Ora che anche il Manifesto di Ventotene è diventato oggetto di discordia, possiamo anche rassegnarci tutti a un futuro senza la minima certezza. Ricordo un’insegnante piena di fumo tra i vestiti e nella bocca, la voce roca per il troppo tabacco, bagnarsi gli occhi di commozione raccontandoci il pensiero di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Ricordo le pagine di appunti scritte premendo sul foglio per essere sicuro di non sbagliare, perché quelle parole mi restassero ancora più impresse. Ci ho ripensato in questi giorni di polemiche, dopo l’intervento di Giorgia Meloni alla Camera, a cui ha fatto seguito nello stesso giorno, incredibile anche solo a sceneggiarlo, la “lezione” emotiva su Rai 1 di Benigni, che come la mia insegnante ha saputo far rivivere quella costituente in maniera vibrante. Lasciando agli esperti il giudizio, riporto la questione al calcio, perché si può mischiare il sacro con il profano, dal momento che sull’Europa ormai stanno parlando (a volte sputando) preti e diavoli, santi e peccatori.
Il calcio italiano si sta lentamente adeguando a quello inglese, diventando un fenomeno super nazionale, con la nuova Champions League che ne è il suo manifesto. La mia teoria è che Agnelli, Florentino Perez e gli altri, avessero intuito l’esigenza di allargare i confini, sbagliando però le basi sui cui fondare il nuovo ordine. A cominciare dal nome. Superlega sapeva molto di supercazzola, l’espressione che nascondeva una sottile presa in giro. Che, nel caso di Agnelli and company, era più o meno questa: partecipano solo i ricchi, anche quelli pesantemente indebitati, e le grandi capitali del calcio, quelle con una storia alle spalle. Le altre sono escluse, si facciano pure una doccia sotto le loro baracche fatiscenti.
Il sistema avrebbe portato denaro televisivo nelle casse delle società partecipanti, svendendo il merito a parametro zero e svuotando di significato i campionati nazionali. Il Bologna ad esempio (per non parlare dell’Atalanta), non avrebbe potuto esportare il suo calcio divertente in giro per il vecchio continente così come ha fatto in questa stagione, insieme a un popolo trasognato in cerca di gloria, guidato dai suoi artisti, da Morandi a Cremonini. La festa si sarebbe fermata al Nord, con qualche concessione alle città di Roma e Napoli, come una sorta di elemosina sociale. L’avessero chiamata “La Grande Europa”, avrebbe d’acchito provocato un effetto diverso, accompagnando al nome, una lista di valori alternativi alla semplice pomposità storica, come ad esempio, strutture (stadi e centri di allenamento), bilanci in attivo, settori giovanili floridi e posizione in classifica nel singolo campionato di riferimento. Quella si che sarebbe stata una bella Europa, degna di un nuovo Manifesto. Perché non basta essere moderni per discutere, occorre anche avere un’idea sociale intelligente, nel rispetto del passato e del futuro. Questo è il progresso, il resto sono “solo chiacchere e distintivo” (cit.).
Ps. Questo articolo è dedicato a tutti i fondi di investimento che prima o poi compreranno l’intero calcio d’Europa e del mondo.

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