Un'immagine della Milano-Sanremo dell'anno scorso (foto etty Images)

Il Foglio sportivo

La Milano-Sanremo si decide in un sospiro

Giovanni Battistuzzi

La Classicissima è la prima Monumento della stagione: nel suo albo d’oro non ci sono solo i fenomeni. È la corsa più democratica, ma anche più tirannica che sia. E fino al rettilineo finale...

La prima bicicletta a Sanremo arrivò dal mare. Scese dal brigantino Egisto un pomeriggio del giugno del 1888 tenuta per mano da un piccolo signore tracagnotto con la pelata e un paio di baffi che facevano il riccio. Era stato mandato sin lì da Londra dalla English Bank per valutare una richiesta di finanziamento che un cittadino del Regno Unito aveva chiesto all’istituto bancario per “importanti opere a rendita certa”.

   

Al suo arrivo quell’uomo tracagnotto con la pelata e un paio di baffi che facevano il riccio venne accerchiato da una folla di curiosi, eccitati nel vedere quello strano pezzo di ferro e legno così diversi dai bicicli con il ruotone davanti che giravano in paese (pochissimi a dire il vero). Qualcosa di simile accadde l’anno prima a Genova al signor Wilson Theodore Ward, il primo a portare una bicicletta nel capoluogo ligure. Al contrario del signor Wilson Theodore Ward, l’uomo tracagnotto con la pelata e un paio di baffi che facevano il riccio chiamò, assai infastidito, la polizia. Minacciò di denunciare tutti. Non lo fece solo perché doveva lavorare e farlo in fretta: aveva una barca sulla quale salire per tornare da dove era venuto due giorni dopo.

  

Erano quelli anni nei quali in Liguria le biciclette attraccavano, apparivano dal mare. Nessuno poteva all’epoca immaginare che solo diciannove anni dopo le biciclette sarebbero state il motivo per il quale quel paesino di porto e villeggiature per ricchi divenne notorio in Italia.

  

Il 14 aprile del 1907 a Sanremo arrivò la prima Milano-Sanremo. Non sembrava quel giorno promettere un futuro glorioso.

  

Una corsa “troppo semplice”, disse Giovanni Gerbi, il Diavolo rosso. “Arrivederci? Non ne sarei così sicuro che ci sarà un arrivederci, qui i velocipedi non tornano”, si narra avesse detto Giovanni Cuniolo al sindaco di allora, Orazio Raimondo, che di Manina era tifoso.

 

Si sbagliavano entrambi. Sabato 22 marzo, oggi, a Sanremo arriva la 116esima edizione della Milano-Sanremo, prima classica Monumento della stagione ciclistica, divenuta, con gli anni, La Classicissima.

 

È cambiata pochissimo da allora, la Milano-Sanremo. Ha aggiunto negli anni il Poggio e la Cipressa, per il resto è la stessa. Quasi la stessa. Perché Milano ha abbandonato la corsa per disinteresse e noia, soprattutto per non disturbare troppo il traffico automobilistico. Parte da Pavia per il secondo anno di fila, dopo aver trovato ospitalità ad Abbiategrasso nel 2023. Qualcosa che farebbe rabbrividire Tullo Morgagni, il papà della Sanremo e di altre decine di corse (tra queste il Giro d’Italia) e tutta la Gazzetta di inizio Novecento che considerava Milano “la capitale del ciclismo italico”.

 

Per il resto la solita filastrocca di salitelle che poco o nulla dicono per difficoltà altimetriche e per pendenza media: Passo del Turchino-Capo Mele-Capo Cervo-Capo Berta-Cipressa-Poggio.

 

Salitelle sulle quali fanno poca fatica pure i ciclisti con la pancetta. Salitelle che non spaventano certo i professionisti. Salitelle buone solo a solleticare i polpacci dei campioni.

 

Eppure salitelle capaci di riuscire in quello che nessun’altra salita nel ciclismo riesce a fare: non decidere la corsa, prolungare sino all’ultima pedalata il piacere dell’incertezza. Almeno da quando la moltiplicazione dei rapporti è riuscita a livellare quel tanto che basta le ascese.

 

Il Passo del Turchino è un avvio, i tre capi un intermezzo, la Cipressa un assaggio, il Poggio una rampa di lancio che non fa volare, al massimo facilita la planata.

 

È per le strade di Sanremo che si decidono le sorti di vincitori e battuti. A volte decidono tra tanti, a volte tra pochi. Ogni tanto qualcuno riesce a ribellarsi al vorace protagonismo delle strade di Sanremo e riesce ad allungare il giudizio del Poggio sino al traguardo. Non accade quasi mai, ma Vincenzo Nibali e Mathieu van der Poel ce l’hanno fatta. E quando accade questo è una sorpresa, un’epifania, che diventa realtà solo a pochi centimetri dalla linea d’arrivo. 

   

La volata che ha deciso la Milano Sanremo 2024: Alberto Bettiol, Tadej Pogacar, Michael Matthews, Jasper Philipsen che ha vinto (foto Ansa)
    

Non esiste altra corsa capace di questo.

 

Non esiste altra corsa capace di mettere davvero in difficoltà il talento di campioni come Tadej Pogacar, Mathieu van der Poel, Wout van Aert e compagnia pedalante come la Milano-Sanremo. Perché la Sanremo è un sussurro del mare che dice “lo so che siete i migliori, lo so che pedalate più veloci di tutti, ma per avermi non basta. Io sono la Sanremo e mi frega poco o niente se voi siete campioni, decido io se mi potete avere”. La tirannide della democrazia. Non c’è corsa più democratica della Sanremo, non c’è corsa più tirannica.

 

Tadej Pogacar ha vinto grandi corse a tappe e classiche Monumento, ha unito le Fiandre alla Vallonia, l’Italia del Giro alla Francia del Tour ventisei anni dopo Marco Pantani. Ha stravinto un Mondiale partendo a cento chilometri dall’arrivo, la Strade Bianche con un assolo di oltre ottanta chilometri. Verso Sanremo si ritrova come tutti nella consapevolezza che sul Poggio la classe non basta, che la salita non sempre ha ragione su ogni cosa.

 

Non può che andare così.

 

Sanremo era città di porto. Lo è ancora, anche se la gente fa finta di niente. E le città di porto sono città di facce, di facce diverse, che arrivano e se ne vanno, che restano e spariscono, che si specchiano nel mare e hanno in dono un riflesso mosso, non sempre sovrapponibile all’originale.

 

E verso Sanremo non c’è un santo a cui appigliarsi: San Remo non esiste, non è mai esistito, probabilmente non esisterà mai.

 

La Sanremo è corsa di porto, corsa di facce anch’essa. Di facce diverse e imprevedibili. Come quella di Jasper Stuyven e Jasper Philipsen, di Matej Mohorič e Gerald Ciolek. Facce che altrove, nei grandi albi d’oro delle grandi corse, non si trovano.

 

Anche per questo la Milano-Sanremo è speciale e inimitabile. Anche per questo la Milano-Sanremo sa essere libidine fatta di 282 chilometri di riflessioni e sei chilometri di un unico lunghissimo sospiro.

Di più su questi argomenti: