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Il Foglio sportivo

Il calcio con troppi passaggi sta cominciando ad annoiare

Michele Tossani

Sempre più allenatori vengono accusati di favorire il possesso a discapito della velocità, dell’imprevedibilità e delle iniziative dei singoli calciatori più talentuosi. Mettendo in campo squadre ossessionate dal controllo del pallone

“Fernandez sa che se non passa indietro, lo sostituisco; se il portiere gioca lungo, lo sostituisco”. Con queste parole Enzo Maresca ha risposto in conferenza stampa, dopo la gara vinta 1-0 dal suo Chelsea sul derelitto Leicester di Ruud van Nistelrooy, a chi gli chiedeva lumi in merito ai mugugni del pubblico a seguito di una palla giocata indietro (quando invece c’era la possibilità di muoverla in avanti) dal centrocampista argentino Enzo Fernández.

Eh già perché, nonostante i buoni risultati fin qui ottenuti (Maresca ha preso un Chelsea reduce da una stagione, la scorsa, a dir poco caotica e lo ha messo in corsa per una inattesa qualificazione alla prossima Champions League) il tecnico italiano viene accusato di boring-ball, cioè in sostanza di praticare un calcio noioso.

Una critica mossa molte volte anche nei confronti di altri allenatori. Tutti rei, a detta dei tifosi (e di parecchi addetti ai lavori) di favorire il possesso a discapito della velocità, dell’imprevedibilità e delle iniziative dei singoli calciatori più talentuosi. In pratica, colpevoli di tiki-taka, termine che è sinonimo di un calcio fatto solo di continui passaggi senza uno sbocco preciso, per il gusto di dominare il pallone.
In realtà, dietro il possesso prolungato di certe squadre si cela uno dei principi base del calcio posizionale di Pep Guardiola (guarda caso un altro allenatore spesso accusato di praticare un football noioso a vedersi), vale a dire quello di controllare la partita. Se controllo il pallone attacco meglio e mi difendo anche meglio, come da antico adagio di Nils Liedholm (se la palla ce l’ho io, non ce l’hanno gli avversari).

Se invece lascio troppe volte il pallone agli altri, sono soggetto alla natura imprevedibile del gioco, alla possibilità che qualche episodio (un contropiede su palla persa maldestramente, uno svarione difensivo, un errore del singolo, una chiamata del Var…) possa decidere l’incontro a mio sfavore.

Controllo contro caos. O, se si preferisce, apollineo contro dionisiaco. La conseguenza è appunto quella di avere in campo squadre ossessionate dal controllo del pallone, che a volte però risulta in un possesso sterile, in una continua circolazione a U (da destra a sinistra e ritorno) che non produce nulla di emozionante. Una cosa lecita, per carità (ogni allenatore è libero di scegliere la strada che preferisce per arrivare alla vittoria), ma che sembrerebbe andare contro quella ricerca dello spettacolo che invece, da più parti, viene evocata come essenziale per impedire che, prima o poi, il calcio venga sorpassato nell’interesse generale (soprattutto fra le nuove generazioni) da altre forme di intrattenimento, più veloci e più emozionanti.

Senza contare il fatto che, insistendo sui continui passaggi, si finisce per inaridire anche il gioco di quei calciatori nati invece per dribblare, cioè per effettuare un gesto tecnico sempre più raro in determinati contesti (basti pensare che da noi in Italia, la terra dei Bruno Conti e dei Roberto Baggio, i dati dei dribbling prodotti in media a partita si sono terribilmente abbassati).

In tal senso, l’esempio di viene ancora dall’Inghilterra, dove un giocatore come Jack Grealish, dotato di grandi qualità nell’uno contro uno, ha finito per essere decaffeinato dal gioco del Manchester City, immalinconendosi nel sistema di passaggi costruito da Guardiola.
Insomma, se è ancora valido l’imperativo categorico di Arrigo Sacchi (vincere e convincere) questo tipo di approccio, anche là dove produce risultati (al Chelsea come detto) appare indigesto al pubblico. Il quale invece preferisce proposte più verticali, rock n’ roll, che lascino ancora spazio alle iniziative del singolo.