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Il Foglio sportivo
Il gigantismo sta rischiando di distruggere il calcio
L’esasperata ricerca dello spettacolo, ignorando regole e calciatori, farà crollare la qualità del gioco. E intanto si esplora l'ipotesi di portare a 64 squadre la Coppa del mondo che si giocherà nel 2030
Pronti per l’estate 2026, per il primo Mondiale a 48 squadre? Potrebbe essere già l’ultimo: nel 2030 stanno pensando di farle diventare 64. Ma non abbiate tutta questa fretta, perché quando finisce la nuova Champions League, che nel frattempo è passata da 32 a 36, ci sarà il Mondiale per Club come finora non si era visto, di fatto un torneo nuovo: un mese, dal 14 giugno al 13 luglio, con 32 squadre, da adesso ogni quattro anni. Ormai è chiaro, il calcio ha una malattia: si chiama gigantismo. Porta a inutili eventi pomposi dimenticando la radice del gioco, a un allargamento senza criterio come se bastasse a moltiplicare l’interesse, all’abolizione dei principi base della competizione (gioca chi merita) in nome della partecipazione di massa (gioca chiunque).
Lo scopo non è nobile, non vuole allargare la diffusione del calcio: è una specie di imperialismo del pallone, un modo per annettere squadre. Per soldi, non per amore. Portare i Mondiali prima in Qatar, poi negli Stati Uniti e con la formula (ne parliamo fra poco) del 2030 non è una missione, è una colletta gigante. E aumentare le partite ha questo scopo, è un calcolo insensato: se venti partite portano una somma, quaranta ne porteranno il doppio. Non è così, però, ma il gigantismo non va di pari passo con la logica, ha solo sintomi e al momento nessuna cura. Ecco perché è una malattia: corrode il pallone, fa scemare l’interesse, crea partite inutili. Come il Mondiale per club, appunto: a meno di cento giorni i biglietti per le partite sono ancora in vendita, sono liberi fino a un terzo dei posti in stadi che hanno venticinquemila poltrone e chissà se intensificare il marketing come promette la Fifa (che, ad esempio, paga il giornalista-influencer Fabrizio Romano per pubblicizzare la vendita dei tagliandi) permetterà di rendere meno vuoti gli impianti. Anche l’interesse delle tv è partito al rallentatore rispetto ad altre competizioni: l’accordo con Dazn (trasmetterà in chiaro) si è chiuso da poco con Mediaset che in Italia si è assicurata la sublicenza per trasmettere la miglior partita del giorno sulle sue reti.
Soprattutto, nella creazione di eventi, manifestazioni, spettacoli paracircensi, non c’è il calcio: alle società questo torneo non interessa, i calciatori giocano già così tanto che questo ci mancava. E allora, ecco la malattia che si palesa nel suo sintomo maggiore: la dipendenza dal denaro. Infantino, non sapendo come attirare l’attenzione, ha tirato fuori un montepremi record da un miliardo di dollari per le squadre che parteciperanno (525 milioni per la partecipazione, 475 in base ai risultati). Per dare un’idea della sproporzione: al Mondiale in Qatar il montepremi era di 440 milioni. La promessa è di destinarne un quarto di questi soldi ai club che non prenderanno parte alla manifestazione (nessuno sa come) ma intanto chi vince porterà a casa fino a 125 milioni di dollari, che è come vincere la Champions, ma giocando sette partite invece di quindici. Soldi a pioggia che, come accaduto con i primi anni ricchi della Champions, creeranno squilibri nei campionati nazionali, costruendo un’élite artificiosa, togliendo ai campionati nazionali gli ultimi scampoli di competitività, a beneficio delle squadre di cui Infantino ha comprato l’attenzione.
Il gigantismo del calcio non tiene conto dei calciatori e si illude di accontentare chi lo guarda: ai prossimi Mondiali (i primi ospitati da tre nazioni diverse) si giocheranno 104 partite, invece delle 64 dell’ultima edizione, fino a sei al giorno, in orari incompatibili con lo sforzo fisico, anche perché sono probabili temperature superiori a quelle ritenute impossibili in Qatar e per alcuni esperti molte partite, con la combinazione caldo-radiazioni solari-vento-umidità, rischiano di essere un disastro in attesa di accadere. Problemi appunto di chi gioca, non di chi organizza e guarda a quelli a casa con il condizionatore acceso. Altrimenti non avrebbero nemmeno messo su il Mondiale per club e non penserebbero, davvero, di esplorare l’ipotesi di portare a 64 squadre la Coppa del mondo che si giocherà nel 2030 in Spagna, Portogallo e Marocco e con le tre partite inaugurali che dovrebbero giocarsi in Argentina, Uruguay (a esattamente un secolo dalla prima dizione del 1930) e Paraguay.
Vabbè, ma magari ci stiamo spingendo troppo avanti e se il Mondiale per club sarà una manifestazione posticcia, quello del 2026 per le Nazionali mostrerà un calcio come non l’abbiamo mai visto, ma al momento (vale come esempio?) allargare la Champions ha portato a Bayern Monaco-Dinamo Zagabria 9-2 e altri divari imbarazzanti. Ampliare la base semplicemente allentando i criteri di accesso non garantisce alcuna imprevedibilità, anzi va incontro all’inevitabilità, il contrario dell’attrazione. E se lo spettacolo non sarà all’altezza, pazienza; i portatori sani di gigantismo credono di aver trovato già la soluzione: Infantino ha chiesto a Chris Martin, il cantante dei Coldplay, di organizzare uno show sul modello del Superbowl nell’intervallo della finale. Ignorando molte delle basi del calcio, a cominciare dal regolamento, che prevede che la pausa tra un tempo e l’altro non sia superiore ai quindici minuti.
E ignorando il benessere dei calciatori (che dovrebbero di fatto ricominciare a scaldarsi prima del secondo tempo) e l’interesse dei tifosi (che non vedono nell’intervallo la cosa più avvincente di una partita). In più, il calcio è un gioco veloce, mentre la finale del Superbowl è fatta di continue interruzioni, tipiche del football, e dura più di tre ore. Ha una tradizione, anche. E le tradizioni non si inventano e nemmeno si copiano. Ma anche questo, al calcio che pensa inutilmente in grande, molto in grande, sembra non interessare. Del resto, è già un successo che si parli di due Mondiali a distanza di quattro anni tra loro, perché va ricordato che per un po’ si è esplorata la possibilità di giocare la Coppa del mondo ogni due anni. Con la stessa logica: ingozzare il gigante, spremendo tutti fino all’ultima goccia. A un certo punto, però, le gocce finiscono, il passo diventa incerto. E cadere da lassù fa parecchio rumore.