L'allenatore della Igor Novara Lorenzo Bernardi (foto Getty Images) 

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"Provare a vincere da allenatore mi completa". Intervista a Lorenzo Bernardi

Andrea Romano

L'allenatore della Igor Novara, guida la sua squadra contro l’Alba Blaj nella gara di ritorno della finale di Cev Cup: Rispetto a quando giocava "l’emozione, il sentimento e le reazioni sono uguali. Quando giochi sei un individuo all’interno di un contesto e devi pensare a svolgere bene i tuoi compiti. Quando alleni devi far star bene gli altri"

Il suo nome è diventato sinonimo stesso dello sport che ha praticato per tutta la vita. Un privilegio concesso a pochi, anzi, a pochissimi. Eppure Lorenzo Bernardi da Trento non si è mai sentito un monumento vivente della pallavolo. Anche se è stato votato come il giocatore più forte di tutti i tempi. Perché l’ex schiacciatore della Nazionale non è uno che guarda la bacheca. Il suo sguardo è rivolto in avanti. Al successo che ancora deve arrivare, alla vittoria che deve essere ancora conquistata. Una mentalità che lo ha spinto oltre ogni limite e che conserva anche ora che di lavoro fa l’allenatore. Perché stasera la sua Igor Novara affronta l’Alba Blaj nella gara di ritorno della finale di Cev Cup, l’Europa League del volley femminile. E per Bernardi potrebbe arrivare il cinquantesimo trofeo (escluse le supercoppe) di una carriera abbacinante.

 

Bernardi, come si fa ad avere ancora fame?

Alla base di tutto ci deve essere la capacità di azzerare quello che è stato fatto. È una condizione necessaria per rimanere ad alto livello, tanto nello sport quanto nelle attività imprenditoriali. Bisogna partire dall’esperienza precedente, dimenticarla, tenerne l’aspetto positivo e provare ad andare oltre. La storia si legge sui libri. Il presente e il futuro lo scriviamo noi.

 

È una frase da libro

Eppure è così. Io ho vinto tutto, ma da giocatore. Da allenatore ho traguardi sempre nuovi: giocare una coppa più importante, vincere qualcosa in Italia, rafforzare una buona posizione conquistata. Non sono ossessionato dalla vittoria, credo che sia il frutto di un processo di evoluzione. Ossia, il genere umano si evolve solo quando prova a migliorarsi un pochino. Io provo a riportare a livello personale questa idea. È importante sapersi adattare per andare avanti. Quando c’era il Covid tutti ci dicevano che il mondo era cambiato, si era evoluto. Chi non ha accettato i cambiamenti non ce l’ha fatta. Chi si è evoluto sta molto meglio.

  

Lei è cambiato?

Non mi piace la parola cambiamento, ha un’accezione negativa. Se devi cambiare vuol dire che qualcosa non andava bene. L’evoluzione invece è legata all’idea di crescita. Quindi credo di essermi evoluto passando da giocatore ad allenatore. 

 

E il volley, quanto si è evoluto da quando giocava lei?

Tantissimo, come tutti gli sport del resto. C’è un nuovo modo di svolgere la preparazione, di raccogliere i dati, di affidarsi all’informatica. Anche gli allenamenti sono diversi. La pallavolo, però, non è cambiata nell’essenza. A decidere l’esito finale, allora come oggi, è l’errore. 

 

Quando giocava in Nazionale c’era tutto un Paese pronto a sostenervi. E ancora così?

Trovo lo stesso slancio nella pallavolo femminile. Ora un quarto delle ragazze che praticano sport gioca a volley. Credo poi che nell’universo femminile ci siano più giocatrici capaci di avere un riconoscimento mediatico, di avere un’identità anche fuori dal campo.

 

Ma cosa cambia davvero fra volley maschile e femminile?

Anche se il gap si è assottigliato, la pallavolo maschile ha più fisicità di quella femminile, ma forse ha meno tecnica. 

 

Ora che è allenatore vive le finali in modo diverso rispetto a quando giocava?

L’emozione, il sentimento e le reazioni sono uguali. Cambia come le gestisci. Quando giochi sei un individuo all’interno di un contesto e devi pensare a svolgere bene i tuoi compiti. Quando alleni devi far star bene gli altri. Devi essere un regista, non il miglior attore protagonista.

 

E non le manca essere il miglior attore protagonista?

No, non ci sono rimpianti. Ho avuto la fortuna di poter scegliere quando smettere. Se la decisione fosse stata imposta, magari da un infortunio, allora sarebbe diverso. Ho vinto tanto, non sento una mancanza. Anzi, provare a vincere da allenatore mi completa. 

 

A proposito, Mourinho diceva che le finali non si giocano, si vincono. È d’accordo?

Molto. Spesso le finali sono brutte, diventano strane. Ho giocato molte finali e a volte le ho vinte giocando male. La fiducia e l’autostima sono fondamentali. 

 

E allora, come ha preparato questa finale?

Sottolineando alle ragazze come sia importante che un errore non condizioni la giocata successiva. E ricordando al gruppo di pensare a quello che succede nella nostra metà campo. Dobbiamo concentrarci su di noi.

 

Che effetto fa sapere di essere il migliore di sempre?

Mi fa molto piacere perché è un Oscar che mi è stato dato per tutta la carriera, non per un Europeo o un Mondiale. Ho avuto la fortuna di giocare con dei fenomeni assoluti che mi hanno aiutato a crescere e sono riuscito a spiccare un pochino più di loro.

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