Il capitano del Parma Enrico Delprato (foto LaPresse)

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La testa dura di Enrico Delprato

Giovanni Battistuzzi

Forse al Parma non il più bravo, ma quello con più testa, cuore e determinazione. Chi è il capitano dei Ducali

Enrico Delprato è uno che ha la testa dura e nessuna paura di dire le cose come stanno, o almeno come lui ritiene che stiano. Tipo quando scrissero bene di tal Enrico Del Prato e lui disse che lui non era più Del Prato, ma solo un Delprato perché sebbene da piccolo si chiamasse Del Prato, poi suo padre all'anagrafe scoprì che invece erano Delprato e Delprato rimasero. Aggiunse che parlar bene, quando uno è giovane è facile. Il problema è quando si cresce e le speranze diventano ricordi. 

 

A venticinque anni non si è più giovani, anche se in Italia la gioventù la si tende a estendere fino a un momento incerto che a volte supera pure i trent’anni. A venticinque anni si è uomini fatti anche se non finiti e serve iniziare a prendersi delle responsabilità che altrimenti può diventare un problema. A lui prendersi le responsabilità non è mai pesato. Perché, dice, a lui non hanno mai detto cosa fare, ma solo messo davanti alle scelte e ogni scelta è in fondo una responsabilità perché va portata fino in fondo, difesa. Almeno sino a quando non si capisce che è una stupidata, ma quella è un’altra storia. 

 

La sua scelta la fece presto. Da ragazzino. E per difenderla si è alzato “alle sei-sei e mezza perché c’era il pullman che mi portava a Bergamo, poi andavo a scuola dalle 8 fino all’una, all’una e mezza tornavo a casa, mangiavo una cosa veloce e alle due e un quarto arrivava il pulmino che mi portava al campo. Finivi intorno alle 6 di pomeriggio e poi dopo, la sera, dovevi studiare”, ha raccontato alla Gazzetta di Parma

 

Si è diplomato, vorrebbe continuare a studiare. Intanto gioca a pallone, in Serie A. Capitano del Parma. 

 

Capitano e titolare in Serie B. In Serie A poteva fare il capitano panchinaro. C’erano difensori più forti di lui, dicevano. Almeno sulla carta. La carta però conta nulla, serve essere più bravi in campo e lui ha dimostrato di esserlo. Forse non il più bravo, ma quello con più testa, cuore e determinazione. Uno che non può stare in panchina, perché certi giocatori forse non sono campioni, ma sono importanti tanto quanto i campioni. Quest’anno è partito dalla tribuna, ma per squalifica, ha iniziato in panchina, poi non è più uscito dal campo. Come l’anno prima, ma in Serie B. Un po’ terzino, un po’ difensore centrale, sempre dove serve. 

   

Un intervento difensivo di Enrico Delprato (foto LaPresse)  
     

Di Enrico Delprato dicevano che era un Mattia Caldara ancora più sgamato tatticamente. E all’epoca essere un Mattia Caldara era un gran complimento. Troppi infortuni sono passati in questi anni, se lo ricorda quasi più nessuno Mattia Caldara. Peccato. 

 

Lui non ci pensava allora. Non ci pensa ora. Pensa a giocare, pensa a quel pezzo di Emilia che lui ha imparato a chiamare casa. Parma, il Parma. 

 

Si sente parte di una storia, parte di un’identità. Parma, il capitanato, il calcio, lo hanno cambiato senza cambiarlo: “Non sono una persona che parla tantissimo, a cui piace apparire: in campo però bisogna parlare, comunicare, interagire molto con l’arbitro, con gli avversari e quindi una parte importante del lavoro lo devi fare durante la partita. E poi anche fuori, soprattutto: devi sempre essere molto attento ai problemi che ci possono essere tra i compagni, tra un compagno e una persona della società... devi cercare un po’ di risolverli”. 

 

Lui prova a risolverli. Soprattutto quando le cose andavano male, molto male. Non però alla maniera del signor Wolf delle Iene. Alla maniera di Rocky, non mollando mai, a costo di finire pieno di botte. Ce l’ha tatuato sulla pelle Rocky Balboa. 

  


    

Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.

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