(LaPresse)

Il Foglio sportivo

C'è una Ferrari veloce come il Fuoco

Umberto Zapelloni

Da Cariati alla vittoria a Le Mans: “Ho imparato correndo con i kart nella notte a luci spente, con mio fratello. Avevo quattro anni”. Intervista ad Antonio Fuoco

Aspettando la Ferrari di Fred Vasseur alla ricerca dell’assetto giusto per volare, finora trovato solo nella gara Sprint di Shanghai, c’è una Ferrari, quella di Antonello Coletta, che ci ha preso gusto a vincere. Dopo i due trionfi consecutivi a Le Mans, nella gara più famosa della serie, ha cominciato il Mondiale Wec 2025 con una tripletta in Qatar. Tre Ferrari ai primi tre posti come nello storico arrivo in parata di Daytona negli anni Sessanta. La 499P che guida il campionato è la #50 con Antonio Fuoco, il danese Nicklas Nielsen e lo spagnolo Miguel Molina. “C’è un ragazzino che viene dalla Calabria con un nome che vi resterà impresso e di cui sentirete molto parlare”, raccontava qualche anno fa Enrico Zanarini, un manager che in carriera ha fatto fortuna con Irvine, Fisichella, Giovinazzi. In effetti Fuoco è un nome dal quale chi corre in auto vorrebbe girare sempre al largo. Antonio arriva da Cariati, un paesino che si affaccia sullo Ionio e dove una delle attrattive principali è una pista di kart a pochi chilometri dalle spiagge. È lì che per caso è nata la passione di Antonio: “Mio padre e mio fratello che ha un anno più di me, ci andavano per gioco a divertirsi con i kart a noleggio. Poi ne abbiamo comprato uno.

Io ho cominciato con il kart di mio fratello. Prima nel piazzale davanti a casa e poi in pista. Avevo quattro anni, forse meno e non ho grandi ricordi, ma per fortuna c’è qualche foto che faceva papà”. Due bambini con una tutina rosso Ferrari e un kart azzurro… è l’inizio dell’avventura. “Quando finiva la scuola passavamo giornate intere in pista. Giravamo anche di notte, anche al buio per rendere le cose un po’ più difficili, tanto la pista era piccola e l’avevamo imparata a memoria”. Quasi un segnale del destino per chi poi è diventato uno specialista delle gare endurance, delle 24 ore. “Tutto è cominciato come un divertimento. Gli altrui bambini giocavano a pallone e noi andavamo in kart… poi è nata la passione e attorno ai 10 anni quando papà ha cominciato a portarmi a gareggiare in Puglia perché diceva che dovevo confrontarmi con ragazzi più forti di quelli che trovavo vicino casa. E lì cominciando a vincere anche lontano da casa ho iniziato a pensare che diventare pilota non sarebbe stato impossibile.
“Papà aveva un’impresa edile, ma non poteva certo permettersi di finanziare la mia carriera.

Il primo sogno di ogni ragazzino è di diventare pilota ufficiale di qualche squadra… intanto comincio ad appassionarmi alla Formula 1, ma non è che mi alzassi alle 5 per vedere un Gran premio… erano gli anni di Schumacher e ovviamente anch’io tifavo per lui, anche se il mio pilota preferito è Senna”. Il piccolo Antonio comincia a farsi notare con i kart anche a livello europeo e nel 2013 entra nella Ferrari Driver Academy, il passaggio che gli cambierà la vita. Francesco Principe che lo aveva notato lo segnala a Zanarini e da lì tutto ha inizio: “Enrico ha cominciato a investire su di me fin dai kart e non è facile trovare un manager disposto a farlo”. Già nei kart Antonio comincia a confrontarsi con un ragazzino che arriva da Monaco e ha solo un anno meno di lui: Charles Leclerc. “Quando anche Charles  è arrivato in Fda a Maranello ci conoscevamo già dalle sfide che avevamo avuto nei kart. C’è sempre stato rispetto tra di noi e quando abbiamo cominciato a frequentarci è scattato subito un feeling particolare. Ci sfidavano in pista, ma poi ci frequentavamo fuori. Siamo sempre riusciti a tenere separate le due cose con tanto rispetto tra di noi”. E così è nata un’amicizia forte. “Anche quando abbiamo preso due strade diverse, lui in Formula 1 e io nell’endurance abbiamo continuato a confrontarci e frequentarci”. Da quando Antonio è andato a vivere a Monaco, poi la frequentazione si è anche più intensificata. Partite di padel, uscite in barca (“ma la barca è di Charles”), in bicicletta (“dovevamo andare anche con Sinner, ma poi non siamo riusciti a organizzare”) o in montagna dove vanno a completare la preparazione (“E anche lì ci sfidiamo. Siamo sempre in competizione”).  Quello con Charles è un rapporto vero, sincero, reso ancora più forte dal dolore della perdita del padre che hanno sofferto a pochi anni di distanza.


Verrebbe da chiedersi come sarebbe stata la sua carriera se non avesse trovato Charles sulla sua strada. “Con i se e i ma non si va da nessuna parte.  Charles è stato più forte di me soprattutto nell’anno in Formula  2 nella prima parte della stagione. Poi mi sono avvicinato alle sue prestazioni, ma ormai era tardi, le decisioni erano state prese. Ero anche molto giovane e in un certo senso più fragile”. Però Antonio è stato bravo a non abbattersi e a sposare il programma endurance della Ferrari che poi con le hypercar lo ha portato a Le Mans e nel Wec. “E in questo momento della carriera credo che correre con la Ferrari nel Wec sia meglio che stare in un team secondario in Formula 1. A tutti piacerebbe provare una stagione in Formula 1, ma aver fatto parte di questo programma partendo praticamente da zero mi rende orgoglioso”. Non dimenticherà mai la prima pole, al debutto a Sebring nel 2023. “Una pole per la squadra che aveva lavorato notte e giorno”. E dire che all’inizio faceva fatica nel giro secco. Oggi è quasi uno specialista. “Dovrebbero essere gli altri a dire quali sono le mie doti migliori, ma io credo che l’aggressività e il fatto che io spinga sempre fino all’ultimo secondo siano certamente i miei pregi”. Le gare endurance, di 6, 12 o 24 ore sono soprattutto un gioco di squadra: “Da solo non puoi vincere una gara endurance, da solo non cambi il risultato finale. La cosa più importante è motivare le persone che lavorano con te, meccanici, ingegneri e compagni di squadra. L’obiettivo si raggiunge solo lavorando bene insieme”. Quest’anno l’obiettivo è chiaro: vincere il Mondiale Wec. E la Ferrari di Coletta è una squadra che per ora ha esaudito anche i sogni più arditi. Ma prima di Imola lo aspettano giorni e notti al simulatore di F1 per aiutare Hamilton e Leclerc: “Al simulatore proprio non ci si diverte, ma è un lavoro utilissimo. Mi ha fatto crescere tanto come pilota il poter lavorare sia su quello della F1 che su quello dell’hypecar. Purtroppo spesso non viene considerato come dovrebbe il lavoro che facciamo qui a Maranello nei weekend della F1”. In fin dei conti basterebbe un grazie. 

Di più su questi argomenti: