Tadej Pogacar solo davanti a tutti sul Paterberg al Giro delle Fiandre (foto Getty Images)

ciclismo

Tadej Pogacar ha vinto il Giro delle Fiandre

Giovanni Battistuzzi

Dopo l'arrivo il campione del mondo era sfinito, il suo volto stanco come poche altre volte si è visto. L'evidenza di una corsa durissima, nella quale in tanti hanno provato a vincerla

Dopo il traguardo superato a braccia alzate, dopo gli abbracci con massaggiatori, direttori sportivi, capi vari ed eventuali, dopo aver schivato fotografi e addetti ai lavori, dopo aver salutato distrattamente i pochi tifosi e i qualche imbucato dopo la linea d'arrivo - c'è sempre qualche imbucato dopo la linea d'arrivo -, Tadej Pogacar ha sorriso. E faceva bene Tadej Pogacar a sorridere, con il suo solito sorriso dolce e un filo imbarazzato: aveva vinto il Giro delle Fiandre, il suo secondo Giro delle Fiandre. E l'aveva vinto ancora alla sua maniera: senza nessuno attorno, con lo sfondo sgombro da altre figure umane. Tolto caschetto e occhiali, il suo volto però era diverso dal solito. Era affaticato, affaticatissimo. Lineamenti tirati, occhi leggermente vitrei, accenno di occhiaie, zigomi che sembravano tenersi su a fatica. Era dal Tour de France di due anni fa, dalla cronometro dominata da Jonas Vingegaard a Combloux, che avevamo perduto l'altro volto di Tadej Pogacar. Quel giorno però il danese lo stracciò, oggi, a Oudenaarde nessuno è riuscito ad anticiparlo.

   

Tadej Pogacar è riuscito a rimanere solo nel terzo passaggio sull'Oude Kwaremont, a 19 chilometri dall'arrivo. La sua speranza era quella di trasformarsi in una presenza lontana per tutti ben prima. Aveva fatto di tutto per riuscirci. Era scattato di prepotenza sui muri in pavé, sulle stradine pianeggianti delle Fiandre, sui settori in pavé, pure in una discesetta. Ce l'aveva messa tutta, da quando di chilometri all'arrivo ne mancavano cinquantotto. Gli era andata sempre male. E per ben sei volte. Non volevano staccarsi gli altri. Come alla Milano-Sanremo, con la differenza che non c'era solo Mathieu van der Poel alla sua ruota e Filippo Ganna di poco lontano, ma erano ben di più gli scocciatori: c'era il solito Mathieu van der Poel, c'era Mads Pedersen, c'era pure Wout van Aert, che era da un bel po' che non si vedeva lì davanti. E pure Jasper Stuyven non voleva saperne di allontanarsi troppo da lui.

       

Il suo viso rifletteva tutto questo. Una felicità affaticata, la soddisfazione di chi ha battuto tutti, ma lo ha fatto senza la possibilità di dimostrare quella facilità, quanto meno apparente, con la quale per un anno, lo scorso anno, si era abituato a immergersi nella solitudine dell'avanguardista ciclistico. Certo non era stato facile, certo anche nel 2024 lo avevano fatto faticare assai, ma era stato distante dalle pietre un anno fa. E le pietre sono una dimensione ciclistica a parte.

 

Tadej Pogacar sul traguardo del Giro delle Fiandre (foto Ap, via LaPresse)
     

Tadej Pogacar si innamorò delle pietre un giorno di marzo del 2022. Gli avevano detto che non erano posto per lui le Fiandre, lui volle andarci comunque. Le esplorò in allenamento e le trovò amorevoli - ci vuole un gran amore per la bicicletta per usare il termine "amorevoli" per descrivere le pietre -, le percorse in corsa, alla Dwaars door Vlaanderen, e le trovò adatte a lui. Qualcuno sorrise allora. Qualcuno addirittura gli disse che non era affar suo il pavé. Ancora oggi, osservandolo pedalare nel gruppo dei più forti a pensarci bene fa strano. Lui l'unico mingherlino in mezzo ai marcantonio della bicicletta. Una passione troppo grande quella di Tadej Pogacar per il pavé, capace di farlo stare lì tra i lungagnoni-spallelarghe completamente a suo agio, anzi voglioso di staccarli tutti.

  

Oggi ce l'ha fatta per ostinazione e per incapacità di arrendersi. Di dare tutto se stesso, più di tutto se stesso, nell'ultimo punto nel quale poteva abbandonarsi alla solitudine: l'Oude Kwaremont, il centro della festa del Fiandre, il tratto in salita sulle pietre più lungo, quello nel quale poteva far valere di più la sua abilità a portare oltre il limite pensabile il suo corpo.

   

Mathieu van der Poel è stato l'ultimo a staccarsi dalla sua ruota. Non voleva mollare, lo ha dovuto fare. Gli altri non avevano neppure provato a seguirlo quando la strada sale, perché uno come Tadej Pogacar non lo si riesce a seguirlo, gli si può stare vicino il più possibile, questo sì, ma seguirlo è difficile. Anche se Jonas Vingegaard e Mathieu van der Poel hanno dimostrato, e a più riprese, che è possibile.

   

Per questo che a qualcuno è tornato in mente il vecchio detto del ciclismo di tanti anni fa, di quando correva ancora Eddy Merckx (e forse di prima ancora): se non puoi seguirlo, anticipalo.

   

Davide Ballerini lo ha fatto a oltre cento chilometri dall'arrivo. E Stefan Küng gli è subito andato dietro, perché quel vecchio detto se lo ricordava pure lui. E alla loro ruota si sono aggiunti prima Tiesj Benoot e Vito Braet. E poi pure Filippo Ganna, Quinten Hermans, Daan Hoole e Matteo Trentin. Tutta gente tosta e faticosa da raggiungere. Tutta gente capace di sognare di essere portatrice sana di beffa per gli altri. Ultimi grandi utopisti.

  

C'è voluto un gran lavoro di Mikkel Bjerg, António Morgado, Nils Politt e Florian Vermeersch per tenere la fuga a distanza di Tadej Pogacar. C'è voluta poi la pazienza del campione del mondo e del suo più grande rivale, Mathieu van der Poel, per evitare che il giochetto di non tirare di Mateo Jorgenson e Wout van Aert (compagni di squadra di Tiesj Benoot) non vanificasse il primo scatto di Tadej Pogacar sull'Oude Kwaremont. C'è insomma voluta più fatica di gambe, polmoni e nervi, di quella che si sarebbe aspettato lo sloveno. Giusto così, sono corse. Ne troverà altre così. Soprattutto domenica prossima. Perché domenica prossima Tadej Pogacar correrà per la prima volta la corsa che tutti, a partire dai capi della sua squadra, gli hanno sconsigliato di correre: la Parigi-Roubaix.

   

"Roubaix è una gara completamente diversa, ma accetterò la sfida e cercherò di fare del mio meglio. So che la Ronde mi si addice un po' di più, ma non si sa mai. Anche la Roubaix è una gara molto dura e penso che con la forma che ho ora, dovrei provarci". Gli brillavano gli occhi mentre diceva questo. E questa volta non di fatica.