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Il Foglio sportivo

La Kings League non bastava, ecco anche la Baller League

Michele Tossani

Due tempi da quindici minuti, campo ridotto e cambi volanti. L’ultima trovata di un mercato in continua evoluzione, ideata per conquistare la generazione TikTok e ripetere il successo del format di Piqué

Nell’era della velocità, dove persino gli audio WhatsApp vengono ascoltati a 1.5, il calcio si reinventa. E lo fa in Inghilterra, la culla del gioco più appassionante del mondo. Benvenuti alla Baller League Uk, costola inglese dell’omonima lega tedesca (l’idea infatti viene da lì, grazie all’intuizione dell’imprenditore tedesco Felix Starck e dei connazionali Mats Hummels e Lukas Podolski), l’ultima trovata di un mercato in continua evoluzione, ideata per conquistare la generazione TikTok, quei giovani abituati a ritmi frenetici che si annoiano davanti a partite di novanta minuti, spesso scandite da interminabili sequenze di passaggi.

Per undici lunedì consecutivi (a partire dallo scorso 24 marzo), alla Copper Box Arena di Londra si sfidano squadre composte da 6 elementi ciascuna, su un campo ridotto, per due tempi da quindici minuti. Alcune regole? Cambi volanti (come si faceva a scuola nel campino durante l’ora di educazione fisica) e nessun calcio d’angolo: se la palla esce tre volte, la squadra che avrebbe dovuto calciare dalla bandierina ottiene un rigore. Quest’ultimo viene battuto con la modalità americana dello shoot-out, mutuata dall’hockey su ghiaccio e in voga nella Mls degli anni Novanta.

Negli ultimi tre minuti di ogni tempo si aggiungono poi delle regole supplementari, come ad esempio un formato tre contro tre; il gol che vale doppio se ottenuto con un tiro dalla distanza; un uno contro uno senza portieri o il divieto per i numeri 1 di utilizzare le mani. In effetti, più che alle competizioni organizzate dalla Fifa questo modello ricorda il soccer al coperto della statunitense Major Indoor Soccer League (Misl) degli anni Ottanta.

Come si vede l’idea è (sarebbe?) quella di avvicinare le giovani generazioni a un prodotto che rimandi al calcio, anche se nella Baller League ne viene mandata in scena una versione impoverita, che non ha niente a che fare col gioco che noi tutti conosciamo. In realtà dietro questo esperimento sembra esserci la non tanto velata volontà di ripetere il successo economico e di pubblico che sta accompagnando la più famosa Kings League di Gerard Piqué.

 

           

Il concetto base che guida entrambe le leghe è semplice. Tutti noi abbiamo iniziato a giocare sotto casa o nel parco vicino, in situazioni di campo ristretto, con pochi giocatori per squadra e un tempo di gioco variabile, che andava dal tramonto del sole al richiamo della mamma.

La Baller League si richiama dunque a quel calcio lì, più vicino alla gente rispetto al tradizionale football a undici, iper professionalizzato e inavvicinabile dal giocatore del giovedì sera (che infatti può immedesimarsi meglio in un calciatore della Baller che in uno della sua squadra del cuore nel calcio classico). Nell’idea della Baller League c’è però qualcos’altro. Le squadre che scendono in campo infatti non rappresentano nessuno. Nessuna città, nessuna comunità, niente di niente. Ogni giocatore, pur facendone parte, rappresenta solo se stesso e, in alcuni casi, il brand a lui associato.

La Baller è quindi non tanto la rappresentazione del puro divertimento quanto invece un mezzo che promuove l’individualismo in una società che già di per se stessa fa fatica a riconoscersi in una comunità. È questo il futuro che aspetta il calcio? Speriamo di no.