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da Milano
Per il Milan una coppa non fa Primavera
I giovani rossoneri sconfitti in finale di Coppa Italia dai pari età cagliaritani. Viaggio all'Arena Civica di Milano per vedere il calcio che sarà
Cosa fa un pomeriggio di primavera un povero milanista milanese per cercare di trovare consolazione dalle mestizie del proprio tifo e illusorio riparo dall’orda d’oro della Design Week? Dalle 14.30 si nega a tutti quelli che per lavoro gli telefonano e gli mandano mail e whatsapp – siamo o non siamo a Milano? - , prende la bici, arriva al Parco Sempione, lega la macchina a pedali a un palo ed entra all’Arena Civica. Nel "più moderno degli stadi antichi e nel più antico degli stadi" - secondo il celebre claim del Gioanbrerafucarlo, a cui peraltro da una ventina d’anni è intitolato – oggi si gioca la finale della Coppa Italia Primavera tra il Milan che, oltre a fare gli onori di casa è anche favorito, e il Cagliari.
I peschi sono in fiore, i glicini esplodono di profumo e le maglie del Milan sono vivaddio rossonere. Sugli spalti bicentenari dell’anfiteatro napoleonico siedono almeno cinque o seimila persone: a far più casino è la compatta brigata sarda che batte il tamburo e inneggia al Casteddu. Ma, sparsi qua, non mancano isolati isolani che fieramente sostengono i rossoblù oggi in bianco.
Storicamente l’Arena Civica non è mai stata lo stadio del Milan. Consulto i sacri archivi di magliarossonera.it e scopro però sono ben 118 le partite giocate dalla prima squadra all’ombra del Pulvinare. Sono la maggior parte negli anni della Seconda guerra mondiale e in quelli dell’immediato dopoguerra: 76 matches dal dicembre del 1941 all’ottobre del 1949, con la maggior concentrazione (39 incontri) negli anni del Campionato Alta Italia, dal gennaio 1944 al luglio del 1946, comprese una mezza dozzina di partite del Torneo Benefico Lombardo, tra il febbraio e il giugno 1945. La prima volta in assoluto fu una trasferta, e una sconfitta (2-1), contro l’Unione Sportiva Milanese, il 21 novembre 1909: il gol decisivo, per i bianconeri a scacchi, fu un autorete di Aldo Cevenini, il primo dei cinque fratelli che oscillarono nella loro carriera tra Milan e Inter. Seguirono due ingloriosi derby, mentre la prima vittoria arrivò solo il 12 febbraio del 1911, grazie al 2-0 al Genoa firmato da una doppietta dal bomber belga Louis Van Hege, antesignano di Van Basten. Negli anni Trenta, dal momento che dal 1926 lo stadio dei rossoneri divenne San Siro, fatto costruire apposta dal presidente Pirelli, l’Arena significava quasi sempre giocare in casa dell’Ambrosiana Inter, trascinata da Peppino Meazza, non vincendo quasi mai, tranne qualche raro exploit, comne il 3-0 (con doppietta di Aldo Boffi) del 17 dicembre 1939.
Ci tornò a giocare a cavallo del giugno e del luglio 1956, nelle vittoriose semifinale e finale di Coppa Latina, il primo trofeo continentale messo in bacheca dai rossoneri: 4-2 al Benfica (con doppietta di Schiaffino e gol di Amos Mariani e Osvaldo Bagnoli) e 3-1 all’Athletic Bilbao (altri gol di Schiaffino e Bagnoli). L’anno seguente i rossoneri sbrigarono la pratica Rangers Glasgow negli ottavi di finale di Coppa dei Campioni: 2-0 (gol di Baruffi e Carletto Galli). L’ultima apparizione giocata su una mesta sconfitta contro il Como (0-1 dopo i tempi supplementari), nel II turno della Coppa Italia 1959-60, il 16 settembre 1959. Per aspettare la cavalcata delle Valchirie e gli elicotteri nella kubrickiana presentazione del “nuovo Milan” di Berlusconi, bisognerà aspettare il 18 luglio 1986, giorno del ritiro pre-campionato.
Ma come dimenticare che il primo gol della storia della Nazionale italiana, nell’esordio ufficiale degli azzurri, il 15 maggio 1910, nel 6-2 contro la Francia venne messo a segno al 13’ del primo tempo da Pietro Lana, milanista (che nella stessa partita ne segnò poi altri due). E che nel 14 gennaio 1950 nientemeno che Fausto Coppi disputò indossando la maglia del Milan un derby amichevole di raccolta fondi, segnando anche un gol nell’impietoso 6-0 finale ai danni dei nerazzurri bartaliani.
Sarà forse che pensassero a tutto questo onusto, ma mica sempre arridente passato, sarà che sono stati soverchiati dall’ansia di prestazione, ma i ragazzi del favorito Milan Primavera, già al 20’ erano sotto grazie a un colpo funambolo di Alessandro Vinciguerra, vent’anni a luglio, meno di 1,70 m di sgusciante dinamismo e capitano dei sardi – nonché, come recitano le cronache gossip, fidanzato con Martina Barella, sorella minore del nerazzurro Nicolò. Un quarto d’ora dopo arrivava il raddoppio, su un’altra incursione del mini-attaccante sardo, una goffa respinta del portiere Longoni e il lesto e felice tap-in di Bolzan, l’altra punta dei sardi. Due tiri due gol, poca spesa massima resa, da una parte. E dall’altra molto rumore per nulla, o quasi.
L’impressione è che i ragazzi di Federico Guidi – che a parziale discolpa sono mediamente più giovani dei loro avversari per una precisa scelta di allestimento societario – avessero la testa troppo zeppa di strategie di gioco e movimento e che, trovandosi sistematicamente ad attaccare in otto o in nove di fronte alla difesa giudiziosamente schierata dei rossoblù, perdesse il senno, l’entusiasmo e la voglia di rischiare fantasia e istinto. Come se dovessero continuamente mandare a memoria lezioni e lezioni mal digerite di costruzione dal basso, di braccetti in appoggio, mezzali di possesso, linee di intercetto, aggressioni concertate, e che quando avevano la palla tra i piedi sembrassero molestamente ingolfati di pensieri tattici. Il Cagliari, per contro, lasciando la sterile iniziativa agli avversari, sembrava godere della leggerezza e sfrontatezza di trovarsi sempre una metà campo libera da conquistare come tanti i pionieri del Far West.
Come è possibile che ragazzi di 17-18 anni non sappiano più affidarsi all’azzardo del gioco e, quando c’è, al talento ma appaiano ingrigiti precocemente nel travettismo tattico delle mansioni e del protocollo? Nel secondo tempo, arrivava puntuale il terzo tiro del Cagliari che, complice una maldestra deviazione di un difensore, era anche il terzo gol. Casteddu esplose nel cuore del Parco Sempione e la Design Week svanisce come flatus vocis al cospetto della schietta reincarnazione dei bisnipotini di Rombo di Tuono che conquistano il primo trofeo nazionale della loro storia con un’asciuttezza arcaica e pietrosa: direi nuragica.
In tribuna intanto Ibra sbadigliava, Moncada si sentiva più boy che scout e Furlani aveva lasciato un biglietto con su scritto che sarebbe tornato presto. Scaroni, come il Duca d’Auge, saliva sulla Porta delle Carceri per considerare un momentino la situazione storica. E la trovava poco chiara, dovendo ammettere che l’unico stadio ancora buono era quello fatto costruire dal Bonaparte duecento e rotti anni fa. Figurarsi il povero milanese milanista che liberava la bicicletta e tornava a casa facendo scrocchiare le ruote sul ghiaietto di Parco Sempione che serviva più che altro a coprire i suoi borbottati sacramenti.