Giordana Duca (foto Getty Images via Fir)

Sei Nazioni femminile

"In Scozia con la voglia di rifarci". Intervista a Giordana Duca

Marco Pastonesi

Domenica 13 aprile la Nazionale di rugby femminile cercherà la vittoria dopo due sconfitte di fila. "Sarà dura, sarà difficile, ma non esistono partite che non siano dure e difficili"

Sei Nazioni donne. Terzo turno. Sabato con Francia-Galles (alle 13.45) e Irlanda-Inghilterra (alle 17.45), domenica con Scozia-Italia (alle 16, diretta Sky e Rai). Fra le Azzurre Giordana Duca, 32 anni, frascatana, laureata in Scienze dell’educazione e della formazione, seconda linea del Valsugana, 54 volte nazionale.

 

Il rugby in culla?

“Qualche gene famigliare c’era, se il rugby aveva già coinvolto i miei due fratelli Davide e Gianmarco, giocatori, e mia madre, dirigente. I miei geni si armarono di santa pazienza: prima danza, poi nuoto, finché un allenatore del Frascati disse ai miei fratelli di far venire anche la sorella. Detto, fatto, piaciuto, mai più smesso”.

 

Il rugby a Frascati?

“O calcio con la Lupa, o rugby con il Frascati. Adesso le società sono due. Qui il rugby è storia, tradizione, orgoglio, anche letteratura. E senso di appartenenza. E simbolo della città. Un po’ come il vino. E inoltre, c’è un grande rispetto anche per il movimento femminile. All’inizio eravamo poche, partecipavamo alla Coppa Italia, si giocava in metà campo a 7. Per giocare a XV, il mio rugby, andai a Colleferro”.

 

Il rugby a Colleferro?

“Un’altra piccola oasi del rugby, a una trentina di chilometri da Frascati. La squadra femminile, Red & Blue, giocava in serie A. Cominciai da terza linea centro e ala, diventai seconda. E da seconda andai in Francia”.

 

Il rugby in Francia?

“Melissa Bettoni e io, proiettate in un altro mondo. Per le strutture, lo staff, il livello, la considerazione… Una grande esperienza per crescere, nella tecnica e nella consapevolezza. E per imparare il francese fino a parlarlo come se fosse il frascatano. Un anno importante. Poi però tornai a Roma”.

 

Il rugby a Roma?

“Alla Capitolina, un centro sorto sui beni confiscati alla banda della Magliana, un’attività giovanile enorme, la prima squadra femminile che gioca nella massima serie. Tutto quello che si potesse desiderare. Finché non desiderai di giocare a Padova”.

 

Il rugby a Padova?

“Il Valsugana di Padova è… la Juventus del rugby donne. Fu una scelta mirata. Volevo migliorare, crescere, vivere, vincere. E il Valsugana sa come si fa. E con le mie compagne, le Valsugirls, ho già vinto due scudetti. Intanto anche la Nazionale”.

 

Il rugby in Nazionale?

“La prima convocazione arrivò subito, 12 anni fa. Esordii nel Sei Nazioni nel 2018, con l’Inghilterra, partendo dalla panchina. Poi, compagne infortunate, diventai titolare. La prima meta in un test-match nel novembre 2018 con la Scozia. Me la ricorderò sempre: un ‘pick-and-go’, cioè raccogliendo il pallone e sfondando, grazie alle mie compagne”.

 

Stavolta in Scozia?

“Sarà dura, sarà difficile, ma non esistono partite che non siano dure e difficili. Veniamo da due sconfitte con Inghilterra e Irlanda, tutte noi abbiamo la voglia di rifarci”.

 

Giordana, che cos’è il rugby?

“Tutta la mia vita. Fisicamente: più che saltare, è spingere. Moralmente, spiritualmente: è valori, fra tutti i valori il rispetto, rispetto per sé, per le compagne, per le avversarie, per il pubblico, per il lavoro da fare sul campo, in palestra, in partita. E i valori di cui tanto si parla, il rispetto, appunto, ma anche il sostegno, cioè quell’aiuto continuo, quel mutuo soccorso fra di noi, non sono retorici, ma autentici”.

 

E allora, il bello del rugby?

“Per me, vedere fin dove posso spingermi, perché qui non esistono limiti”.

 

E allora, il brutto del rugby?

“Come in tutti gli sport, non riuscire a raggiungere gli obiettivi”.