
Foto di Fabio Bozzani
Il Foglio sportivo
Qualche istruzione per l'uso delle Nazionali azzurre
A lezione di competenza e leggerezza in una tavola rotonda con quattro grandi ct come Velasco, De Giorgi, Pozzecco e Quesada
Il discorso pre-partita è sopravvalutato? Julio Velasco, per esempio, ha capito molto presto gli eventuali effetti negativi. “Quando cominciai ad allenare, arrivai in finale con una squadra Under 14 e feci una chiacchierata prima della partita sullo stile di Al Pacino in Ogni maledetta domenica. Fu un disastro totale, misi troppa pressione a quei ragazzi e in campo non riuscivano a muoversi. Dobbiamo capire chi abbiamo di fronte e i momenti”. L’insegnamento si è rivelato utile qualche decennio dopo, nel trionfo olimpico a Parigi con la Nazionale italiana femminile di volley: “I quarti di finale sono la partita peggiore, se perdi sei fuori da tutto. Se si calca troppo la mano con le parole il rischio è di far pesare mentalmente la situazione alle atlete. Non serve, la voglia di vincere già ce l’hanno”.
Quale miglior modo di una tavola rotonda tra ct azzurri per confrontarsi sulle differenti modalità di gestione di uno spogliatoio, per ridimensionare aspetti considerati imprescindibili all’esterno e scoprirne altri a cui non viene mai attribuita la giusta importanza. È accaduto durante “Il Foglio a San Siro”, l’evento organizzato giovedì 10 aprile nella sala executive dello stadio Giuseppe Meazza con tanti protagonisti del mondo dello sport.
Oltre a Julio Velasco, quasi in veste di rettore, altri tre accademici di comprovata carriera come Ferdinando De Giorgi, ct della Nazionale maschile di volley, il coach dell’Italbasket Gianmarco Pozzecco e il commissario tecnico del rugby azzurro, Gonzalo Quesada. Quest’ultimo, il più giovane, ricorda meglio il suo passato da giocatore: “Sono onesto, io non vedevo l’ora di andare in campo. Noi pensiamo che tutti ascoltino quello che abbiamo da dire, ma magari si presta poca attenzione”. Eppure, come ha sottolineato Velasco, nel rugby caricare i giocatori può servire di più in vista del duro contatto fisico. “Vero”, ha ribadito il suo connazionale argentino, “ma l’equilibrio è la parte più importante. Non bisogna avere giocatori né troppo caldi che rischino di andare fuori giri, né troppo freddi che siano focalizzati solo sulla strategia”.
“Si cerca di toccare la sfera emotiva, ma può essere utile per i primi punti. Poi emergono i valori tecnici”, aggiunge ancora Velasco. Anche De Giorgi quasi demitizza questo momento, forse più consolidato nell’immaginario degli spettatori che non dei diretti interessati: “Il percorso di avvicinamento vale più dell’ultima parola, non bisogna sforzarsi di dire qualcosa che non sia autentico”. “Anzi”, aggiunge il Poz, “è più importante il discorso post-gara per prepararsi già ai prossimi impegni”.
A creare invece diverse visioni nei coach è la vittoria. Per tutti obiettivo dichiarato, per qualcuno un fardello da gestire: “Ci vorrebbe sofferenza anche nel successo, è quella che ti porta ad affrontare e superare i tuoi limiti”, commenta De Giorgi. Non è un caso che Velasco, che di Fefè è stato il coach, condivida il concetto: “Per me si sta parlando ancora troppo dell’oro olimpico, gli altri non ne parlano e lavorano per migliorare. Noi dovremmo fare altrettanto. Pensare che la differenza con le nostre avversarie sia quella vista alle Olimpiadi è sbagliato, quello è solo un torneo che abbiamo giocato meglio di loro. Questi aspetti che mi preoccupano”. “La vittoria non va considerata solo un ostacolo al miglioramento, ma può diventare un’abitudine che dà sicurezza”, precisa Pozzecco. Non nasconde di avere il problema opposto dei due pallavolisti, quello di arrivare alla vittoria prima di porsi il dubbio su come maneggiarla: “Oggi aprire dei cicli è più difficile che in passato. La globalizzazione ha portato più Nazionali a competere. In Italia è difficile far passare il messaggio che si può perdere col Sud Sudan, molti non sanno nemmeno che esista uno stato che si chiama così”. “Occhio però che così metti le mani avanti”, scherza De Giorgi, “poi ti serve davvero un gran discorso pre-partita”.
Risate e battute si intervallano molto bene nelle riflessioni di professionisti consapevoli delle difficoltà comuni e curiosi di scoprire qualcosa in più da importare nel proprio lavoro quotidiano. Per esempio, come ci si relaziona con i propri giocatori? Quesada ha addirittura una formula, EC. “Bisogna essere sia empatici che esigenti. Allo stesso tempo dare certezza e consistenza”. Tradotto: “A me piacere avere relazioni affettive con i giocatori, ma allo stesso tempo devo essere un esempio che mi renda credibile quando esigo qualcosa. L’emozione deve essere controllata, le scelte non possono essere motivate dall’affetto e ai giocatori vanno sempre spiegate”. “Non a caso io soffro molto quando devo scegliere”, ammette Pozzecco. Il suo rapporto nello spogliatoio è risaputo: “Tratto tutti come figli, ora che da due anni ne ho una posso dire davvero che è così. Nel mio primo anno da coach diedi un calcio nelle palle a un mio giocatore e lui era sorpreso dal fatto che un allenatore potesse comportarsi così. Mi confrontai con Sacchetti per capire se potevo prendermi quelle libertà. Lui mi disse di sì, a patto di non prendere tutti a calci nelle palle. Non ci posso far niente, mi affeziono”.
E qui serve una postilla necessaria, in pieno stile Poz: “Chiaramente non li do nemmeno a mia figlia”. Controllare l’emozione e calibrare l’affetto con l’autorevolezza sono due processi che a De Giorgi richiedono degli sforzi: “Io spesso vorrei stringere legami più importanti con i miei giocatori, ma i ruoli sono fondamentali e non voglio rischiare di perdere lucidità nelle scelte”. Queste stramaledette scelte. Velasco ormai le prende da 50 anni: “Cerco sempre di considerare le cose positive dei giocatori e di migliorare un singolo aspetto. Se ognuno corregge anche un solo difetto, una squadra ha 12 problemi in meno”. Giova sempre ricordare quello che conta: “In Italia diciamo sempre che il merito è del “gruppo”, ma è solo una condizione che può aiutare. Non basta per giocare bene e vincere”. Forse il segreto dei migliori è proprio questo, dissacrare i luoghi comuni e far capire le cose più semplici.