
Aura Muzzo (foto Getty Images)
rugby
"Il rispetto per l'arbitro nel rugby è una forma di educazione che ci distingue". Intervista ad Aura Muzzo
"La meta è una scossa energica e frizzante, ma uguale soddisfazione mi regalano anche gli assist. La cosa più bella è riuscire a creare qualcosa tutte insieme". Sabato alle 14 si gioca Italia-Francia, quarta partita della Nazionale femminile nel Sei Nazioni donne 2025
Rugby, Sei Nazioni, donne. Quarto dei cinque turni del torneo. Sabato alle 14 a Parma (e in tv su RaiSport e Eurosport) Italia-Francia, alle 17.45 Inghilterra-Scozia, domenica alle 16 Galles-Irlanda. Fra le azzurre Aura Muzzo, 28 anni, friulana di San Vito al Tagliamento, laureata alla triennale in Scienze motorie e alla magistrale in Scienza dello sport all’Università di Udine, oggi iscritta a un master di Psicologia online, trequarti del Villorba, 52 volte in Nazionale, due mete e il titolo di “player of the match” nella vittoria con la Scozia "merito delle due marcature contro la Scozia, che hanno contribuito alla vittoria delle Azzurre a Edimburgo"
Aura, se lei fosse William Webb Ellis?
“L’inventore – diciamo così – del rugby? Sarei molto contenta di vedere com’è diventato il gioco in questi due secoli di storia, constatare quanto è cambiato per migliorare nello spettacolo e nella sicurezza, e scoprire chi lo gioca adesso, bambini e bambine, donne, detenuti, disabili e gli ‘old’ senza limiti di età”.
Se lei fosse il ministro dell’Istruzione?
“Darei più ore all’educazione fisica. A chi fa già sport, muoversi con la scusa di uno sport non farebbe male. A chi non ne fa – e questa è una società digitale, tutti incollati a computer e telefoni -, farebbe un gran bene. A gambe, braccia, testa, anima. Vado nelle scuole, elementari e medie, per conto del Villorba Rugby, tre o quattro lezioni per classe. Spesso i ragazzi non sanno neppure che cosa sia il rugby. E questo in Veneto, la regione dove il rugby è da sempre più diffuso e praticato”.
Se lei fosse il ministro delle Pari Opportunità?
“Continuerei a battermi perché le opportunità fossero veramente pari, non solo a parole, ma nei fatti. Purtroppo la discriminazione esiste, sempre e dovunque, nei diritti e nelle competenze. E anche dove si è fatto qualche progresso, non bisogna smettere di lottare, chiedere, esigere, perché si fa presto a tornare indietro”.
Se lei fosse un arbitro?
“Per carità! Un ruolo difficile, impegnativo, delicato. E non solo per la responsabilità. Oggi il rugby è iperregolamentato. Nonostante la collaborazione dei guardalinee e l’intervento del Tmo, la moviola, rimangono dubbi nell’interpretare certe azioni, spesso contemporanee, di una squadra e dell’altra. E se gli arbitri sono sempre rispettati, non è solo per la consapevolezza della complessità del loro compito, ma per quegli antichi valori che ancora governano il rugby. Regole non scritte, ma tramandate. Una di queste, forse la prima, è proprio il rispetto verso l’arbitro. Una forma di educazione che ci distingue”.
Se lei fosse un allenatore?
“Oddio… Prima giocavo centro, adesso ala. E’ un ruolo che mi piace, che mi diverte. Mi dà la libertà di muovermi in attacco, di impegnarmi in difesa, anche se preferisco quella in linea che non quella in profondità, e di propormi nei contrattacchi”.
Se lei fosse un avanti?
“Che fatica. Mi è capitato solo una volta, venti-trenta minuti del secondo tempo con il Villorba, terza ala. E’ stato divertente ed emozionante, un po’ come la prima volta che ho preso in mano il pallone ovale senza sapere nulla. In touche stavo in fondo alla linea, in mischia spingevo guardando per terra, quando mi rialzavo non sapevo dove fosse il pallone”.
Se lei fosse un mediano di apertura?
“Cercherei di trovare quel magico equilibrio fra il gioco con le avanti e quello con le trequarti”.
Se lei fosse il pallone?
“Il gioco alla mano sarebbe meno duro, ma il gioco al piede mi consentirebbe di volare alto”.
Se lei fosse una meta?
“Una mia meta? Forse la seconda delle due segnate alla Coppa del mondo del 2022 con gli Stati Uniti, nata da un’azione collettiva e costruita con un lungo passaggio di Beatrice Rigoni. Perché è stata una bellissima partita, perché abbiamo vinto e perché con quella meta abbiamo conquistato anche il bonus. La meta è una scossa energica e frizzante, ma uguale soddisfazione mi regalano anche gli assist. La cosa più bella è riuscire a creare qualcosa tutte insieme”.
Se lei fosse una francese?
“Sarei eccitata dalla sfida con l’Italia, perché abbiamo modi di giocare simili”.
Se lei fosse una mamma?
“Lascerei che fossero i miei figli a scegliere lo sport cui dedicarsi. Per 13 anni ho fatto ginnastica artistica. Smisi al primo allenamento della quattordicesima stagione perché non ero più convinta come prima. Ed è stato in quel momento che, senza alcuna eredità familiare, considerando gli sport conosciuti anche una sola volta, ho provato con il rugby. Era il mio. La scelta giusta”.