
(LaPresse)
Il Foglio sportivo
Un viaggio alle origini di Orsolini
Era un dormiglione e serviva il clacson per svegliarlo. Ma oggi ha 28 anni, è nel pieno della maturazione e sta trascinando il Bologna a suon di gol, inseguendo il quarto posto per il secondo anno di fila
Il campanello d’allarme erano due colpetti di clacson. “Orso scendi! È tardi, iniziano senza di te”. Le minacce suonavano come un secondo tentativo di convincimento, in extremis. Chi conosce Riccardo da sempre racconta di come gli piacesse dormire e che la puntualità… non fosse proprio il suo forte. Da allora sono passati più di 10 anni, ma certe cose difficilmente cambiano. Oggi Orsolini è una delle stelle più luminose del Bologna di Italiano in corsa per la Champions League, ma c’è stato un tempo in cui giocava nella sua Ascoli e lottava per non retrocedere in C. “Sentiva le partite il doppio degli altri, forse il triplo. A volte era giusto parlarci per evitare che si caricasse troppo di responsabilità e tensione”. Il racconto in questo caso è affidato a Mario Petrone, allenatore dell’Ascoli nella stagione 2014-15. Fu lui il primo a lanciare Orsolini con i grandi.
“Riccardo giochi in difesa, largo a sinistra”. “Ma chi, io?”. Il ricordo di Petrone parte da un dialogo, di quelli tra padre e figlio, dove l’ultimo accetta la decisione a testa bassa e senza troppa convinzione. “Ci crede se le dico che non ha sbagliato una partita?”. Non era una punizione, né una scelta definitiva, bensì un modo per far capire a un ragazzo giovane il senso del sacrificio e per far sì che migliorasse la fase difensiva. “Arrivava dalle giovanili, dove aveva segnato gol a grappoli. Ma faceva l’attaccante. A me, invece, serviva un esterno, capace di tornare e rincorrere l’avversario, non solo di puntare e dribblarlo. E poi era utile anche per lui, infatti è migliorato molto”. Anche se poi da settembre è cambiato tutto. “Dopo il ritiro di Cascia mi chiamò il suo procuratore per sapere se gli avrei fatto fare il difensore per tutto l’anno. Gli dissi ovviamente di no. E dalla prima di campionato lo schierai largo a destra nei tre davanti”.
Il biglietto da visita, fin dagli inizi, è sempre stata la personalità. Tradotta in voglia di fare, di mettersi in mostra e di fare la giocata. Senza paura. Nel raccontarlo la palla passa ad Alfredo Aglietti, l’allenatore che ad Ascoli l’ha visto maturare e con cui Riccardo ha fatto la sua miglior stagione nel 2016/17. “Guardandolo adesso rivedo la stessa spensieratezza di quando lo allenavo io. Gioca col sorriso. Con il tempo è diventato più “cattivo” e bravo ad attaccare la porta. Sono pochissimi gli esterni in Europa che al giorno d’oggi assicurano un rendimento come il suo. Anche perché è diventato completo”. Nel processo di crescita, però, ci sono volute un paio di tirate d’orecchie. Non per indolenza, ma per farlo crescere. “Ricordo tante sedute in cui lo facevo restare al campo per migliorare in alcuni fondamentali – prosegue Aglietti – dal tiro agli inserimenti. Lui ha sempre ascoltato. Ci siamo incrociati a Coverciano qualche mese fa ed è stato lui a ricordarmelo ‘mister anche a Bologna mi chiedono di convergere verso il centro e di rientrare sul destro, come mi diceva lei!’. Ci siamo fatti una risata, ma vuol dire che quei pomeriggi gli sono rimasti impressi”.
Chi lo ha visto crescere lo racconta come un ragazzo solare, sempre con la battuta pronta e molto dedito a migliorare. “Bisognava alternare bastone e carota – ricorda Petrone – era un ragazzo abituato a essere l’idolo di casa, a fare gol a raffica in Primavera. Ma era anche importante fargli capire che le sorti della città non potevano dipendere da lui, che aveva 18 anni e doveva pensare solo a giocare”. Con entrambi gli allenatori è capitato che si fermasse a parlare, di calcio ma non solo. Anche di Ascoli, di vita e di futuro. “Io con Riccardo l’ho fatto tante volte anche dopo le partite – gli fa da eco Aglietti – Gli ultimi quattro o cinque mesi in cui l’ho avuto furono strani: lo aveva preso la Juventus, ma allo stesso tempo per noi era fondamentale e c’era una salvezza da conquistare. È servito un bel lavoro mentale per non fargli perdere di vista l’obiettivo in un momento delicato”. Poi, prima di salutare Petrone pesca un’ultima cartolina dall’album. “Avete presente la rovesciata con l’Inter? Le ha sempre provate, anche in allenamento o in partita con noi. Non la prendeva quasi mai… (ride, ndr), ma quando la colpiva….”. Chiedere a Simone Inzaghi per conferma. “Però, scherzi a parte, parlavo di questo quando dicevo dei guizzi. Non è mai stato uno da compitino. Cercava sempre la giocata in più. Ormai vedo che gli riesce spesso: non lo sento quasi mai, ma lo seguo e sono orgoglioso. Gli occhi affamati sono rimasti gli stessi di Ascoli”. Il ritratto è completo. Orsolini oggi ha 28 anni, è nel pieno della maturazione e sta trascinando il Bologna a suon di gol, inseguendo il quarto posto per il secondo anno di fila. E chissà che ora il clacson non possa suonarlo lui, magari in macchina, cercando di simulare la musichetta della Champions League.