Dal biotech ai viaggi. Seguire i soldi (tanti) per trovare due storie italiane da raccontare
Questa settimana seguiamo la traccia dei soldi per scegliere le storie da raccontare. Tanti soldi, 15 milioni che si stanno dirigendo verso nuove imprese nate in settori del tutto diversi ma entrambe promettenti. Traccia fresca, visto che i round di finanziamento si sono appena chiusi: 10 milioni sono andati a Genenta Science, che lavora su una terapia genica antitumorale e diventa così la start up più finanziata d’Italia; 5 a Musement, che propone e vende ed esperienze di viaggio. Biotecnologie e turismo. Due eccellenze del made in Italy che, in molti casi, riescono a esprimere crescita e innovazione.
Non è mai facile raccontare una società biotech. E’ certamente meno smart di una digital company. Ma questo non ha impedito a Genenta di raccogliere 10 milioni a meno di un anno dalla nascita. Il progetto nasce con la partecipazione all’Ospedale San Raffaele di Milano che fa da punto di raccolta di un team di cui fanno parte due scienziati (Luigi Naldini e Bernhard Gentner) e un venture capitalist, Pierluigi Paracchi, che adesso fa il ceo della start up. Nell’ambiente Paracchi, che ha 41 anni, è un “caso di successo”. Non tanto perché è stato il primo a creare un fondo di venture capital dedicato al biotech, nel 2002. Ma per essere stato uno dei protagonisti, alla fine del 2013, di una exit, come si dice in gergo, destinata a restare nella piccola storia delle start up italiana: la vendita per mezzo miliardo di dollari, agli americani di Clovis, di Eos, società che ha sviluppato una nuova molecola antitumorale.
Paracchi adesso ci riprova, con un progetto che punta a estrarre quel che c’è di buono nel virus dell’Hiv. Non è facile spiegare cosa sta facendo Genenta. “Ma non è stato difficile raccogliere i 10 milioni tra investitori privati. A un certo punto abbiamo dovuto chiudere le sottoscrizioni o rifiutare quelle di chi non accettava le nostre condizioni”, racconta. Non c’è più la crisi? Ci sono soldi in abbondanza? “La fortuna di questo paese è che ci sono ancora molte persone che hanno tanti soldi. Alcuni noti, altri no. E sono concentrati in Lombardia e Piemonte. E in questo momento hanno difficoltà a trovare investimenti attraenti”. E perché hanno deciso di puntare su una start up? Perché si aspettano un ritorno proporzionale al rischio, da 5 a 10 volte l’investimento. “Ma anche perché sentono il gusto di partecipare a una scommessa imprenditoriale”, aggiunge Paracchi. A cosa serviranno i 10 milioni? “A completare la fase preclinica, prima di andare sull’uomo, e a produrre le nostre cellule”. Un lavoro che durerà fino al 2017. Dopo? “Portare un farmaco sul mercato costa oltre 1 miliardo di dollari. Non è un lavoro da start up”, risponde Paracchi. “Forse fra 7 anni leggerò che chi ci ha comprato sarà arrivato finalmente al farmaco”.
Cinque milioni possono sembrare pochi, dopo aver sentito i numeri del biotech. Ma sono tantissimi se si guarda al mercato delle start up digitali. Tanto è vero che quello di Musement è uno dei finanziamenti più alti degli ultimi anni in Italia. E arriva su un’idea nata fra quattro amici appasionati d’arte che facevano fatica a prenotare on line biglietti di mostre e musei in giro per il mondo. Hanno cominciato così a riunire le proposte in un unico spazio. Oggi la loro piattaforma, e l’app, propongono molto di più: loro le chiamano esperienze di viaggio. Di fatto permettono di sapere tutto quello che si può, o si ha voglia, di fare quando si viaggia. Di sceglierlo e di comprarlo. Se i soldi, da tre fondi di venture capital e un gruppo di business angel, sono arrivati forse è anche perché i quattro amici non sono proprio dei ragazzini: Alessandro Petazzi, che adesso fa il ceo, era nel team di una start up chiamata Fastweb; Claudio Bellinzona si occupava di tv in De Agostini; Paolo Giulini seguiva l’ecommerce del Teatro alla Scala e Fabio Zecchini era il chief data officer di un’agenzia internazionale di digital marketing.
I 5 milioni adesso servono per diventare un punto di riferimento nel sud Europa. E per raddoppiare il team. “Entro fine aprile da 15 diventeremo 30”, spiega Petazzi. “Siamo come una piccola multinazionale perché nei nostri uffici di Milano ci sono ragazzi provenienti da sette paesi diversi, persino americani e inglesi”. E aggiunge: “Io sono stufo del pessimismo che si respira in giro. Noi siamo la dimostrazione che anche in Italia si può creare una compagnia digitale internazionale”. Expo 2015 sarà un banco di prova. Ma la vera sfida nei prossimi mesi sarà oltreconfine.
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