L'azienda veneta che mette online gli oggetti, e quella trentina che li riconosce (patacche comprese)

Stefano Epifani

    Internet of Things: Internet delle cose. Per qualcuno un termine tra i tanti sfornati dagli esperti delle aziende hi-tech sempre in cerca di parole “cool”. Per molti un fenomeno che nei prossimi anni ridefinirà lo scenario non solo delle tecnologie, ma dell’intera società. In fondo, null’altro che la naturale evoluzione di un internet che, sempre più pervasiva, conquistati pc e smartphone arriverà a entrare nei più disparati oggetti d’uso comune, mettendoli in rete e rendendoli interattivi. Dall’automobile al pacemaker, dall’orologio alla serratura della porta di casa tutto sarà, potenzialmente, connesso.

     

    E mentre colossi dell’informatica come Cisco, Ibm o Google pianificano investimenti miliardari, si danno allo shopping di brevetti e pensano a complesse “piattaforme” di integrazione, sono spesso le start up, piccole ma anche per questo talvolta più veloci, a provare a leggere il futuro e interpretarne le dinamiche. Qualche volta fallendo clamorosamente. Ma anche proponendo soluzioni che ci permettono di guardare a quello che sarà il mondo tra pochi anni. Un mondo in cui l’informatica, “uscita” dai confini del personal computer, ridisegnerà intere industrie. E lo farà a sua immagine e somiglianza. Un po’ quello che è successo con Apple nell’ambito della musica, con Booking.com per il turismo o con Netflix per la tv. Ma l’IoT consente di andare oltre la portata di queste esperienze: pensare a un’informatica che esce dai computer ed entra negli oggetti, un’informatica che “supera” il digitale e conquista la materia vuol dire pensare a un cambiamento che avrà la portata di una vera, nuova rivoluzione industriale.

     

    Una rivoluzione che apre opportunità ma nel contempo pone problemi che riguardano ambiti come la privacy (cosa genera un mondo con cinquanta miliardi di device collegati in rete?), la sicurezza (cosa succede se un hacker “entra” in un’automobile in movimento lo avete letto nel colonnino qui a sinistra), le relazioni (parleremo con il nostro forno tramite un social network?). Temi da tener ben presenti, se si considera che l’impatto del cambiamento sarà tale da generare – in termini economici – un business da 4 mila miliardi di dollari di revenue da qui al 2020. Una dimensione che non potrà non avere impatti profondi sulla società. Ma anche una vera sfida per gli startupper di tutto il mondo. Sfida alla quale hanno preso parte molti imprenditori italiani che, invece di lamentarsi di un paese ancorato al passato, hanno pensato bene di provare a disegnarne il futuro.

     

    Magari a partire da quello degli oggetti di tutti i giorni. E’ ciò che si propone di fare Lelylan. Unica italiana selezionata per il prestigioso The Next Web 2015 di Amsterdam, la start up veneta sviluppa una soluzione pensata per mettere in rete gli oggetti. Lalylan dà loro vita grazie a un sistema software che consente all’utente di interagire con essi programmandone i comportamenti per mezzo di un semplice smartphone. Una piattaforma di supporto per i makers insomma, che possono così rendere interattive le proprie creazioni in maniera estremamente semplice. Ma – nelle intenzioni del suo CEO Andrea Reginato – “anche per tutti quei produttori lontani dai FabLab e più vicini alle imprese tradizionali, che potranno decidere di sposare il sistema per dar vita ai loro prodotti”. Quali che siano.

     

    L’identità delle cose tramite app

     

    Ma in mondo in cui gli oggetti diventano connessi e interattivi possono (e devono) acquisire anche una loro identità. A dargliela ci pensa idOO, start up trentina che sviluppa soluzioni pensate per rendere ogni oggetto “unico”. Così, semplicemente avvicinando lo smartphone a un qualsiasi oggetto, l'utente potrà avere informazioni su di esso, entrare in contatto con il produttore, ottenere e fornire informazioni utili a costruire una relazione efficace. Gli utilizzi spaziano dal direct marketing al customer relationship management, passando per la lotta alla contraffazione: basta avvicinare lo smartphone a una borsa o a un paio di scarpe, infatti, non solo per sapere se sono originali, ma anche per conoscerne la storia “individuale”. Un’ottima arma a disposizione del made in Italy, da sempre vittima della contraffazione e del grey market.

     

    Internet delle cose promette di cambiare davvero le cose. E se in questo processo di cambiamento l’Italia avrà un ruolo da protagonista il merito sarà probabilmente di uno dei tanti startupper che sta oggi mettendo entusiasmo, competenza e capacità in una scommessa difficile, ma la cui posta è altissima. Vale la pena tifare per loro. E per noi.