L'innovazione tecnologica applicata al cibo. Le fragole, il vino e gli ortaggi digitali
Centotrentacinque miliardi di euro. E’ il valore dell’industria agroalimentare italiana. Con oltre un milione di occupati tra addetti e impiegati nella produzione agricola, costituisce il secondo comparto manifatturiero del paese e, secondo una recente ricerca Doxa, il primo quando si pensa al marchio “Italia” nel mondo. Insomma: fuor di stereotipo pensare all’Italia vuol dire pensare al suo cibo. E anche per questo è di fondamentale importanza comprendere al più presto come, nei prossimi anni, tale comparto saprà gestire l’impatto della digital trasformation: quella trasformazione digitale che sta ridisegnando interi settori industriali e che riguarderà, ovviamente, anche la filiera agroalimentare.
Il cambiamento indotto dallo sviluppo delle tecnologie digitali avrà conseguenze su tutta la catena del valore, creando nuovi spazi di mercato e aprendo opportunità per attori grandi e piccoli, ma rappresentando anche una pesante minaccia per quanti non sapranno adeguarsi al cambiamento. Vista l’importanza del tema, può mancare quindi un’attenzione particolare da parte di incubatori, acceleratori e istituzioni verso un settore così promettente e importante per lo sviluppo del nostro paese? Può. Brillano per la loro assenza, infatti, iniziative realmente di rilievo orientate a supportare lo sviluppo di start up innovative dedicate al food. Siamo lontani dal dinamismo di mercati come quello israeliano, un vero paradiso di quelle che vengono definite food-tech. Con il curioso risultato che mentre in un paese come Israele, dominato dal deserto, si sta sviluppando una Silicon Valley del cibo, nel paese del cibo il panorama è desertico. Un vuoto che rischieremo di pagare diventando ancora una volta terra di conquista da parte di attori che porteranno valore altrove (che è il rovescio della medaglia delle diverse exit di successo nel settore. Exit che si sono avvicendate nel primo semestre del 2015 in Italia e hanno visto protagonisti colossi internazionali come TripAdvisor o Zomato). Salvo poi lamentarci, tra qualche anno, della concorrenza fatta alla uber maniera verso settori ed attori tradizionali da parte di quelle startup che saranno diventate, nel frattempo, multinazionali “brutte e cattive” dalle quali doversi difendere. Tuttavia, se istituzioni e attori di sistema in qualche modo latitano, gli imprenditori non sono rimasti fermi.
Digital Transformation nella produzione vuol dire, per esempio, ripensare la filiera di produzione delle fragole in maniera innovativa. A farlo è Guglielmo Stagno d’Alcontres, che coltiva fragole in serra alle porte di Milano con la sua start up Straberry. Lo fa ricorrendo alla sensoristica diffusa propria dell’Internet of Things e dell’agricoltura di precisione, strumenti grazie ai quali ottimizza la produzione (400 tonnellate prodotte nel 2014) e disintermedia le tradizionali reti di distribuzione. Sul fronte della produzione ogni vasca di fragole è controllata da sensori che definiscono quando (e quanto) irrigare. Sul fronte della distribuzione invece, un network di ApeCar – disintermediando la normale rete di vendita – distribuisce nell’area di Milano il prodotto ai clienti, che lo hanno visto crescere grazie alle webcam installate nelle serre. Un QRCode, inoltre, consente di sapere il nome di chi ha raccolto i frutti di ogni singola confezione.
La massa di mercati
Sono gli effetti positivi della coda lunga grazie alla quale, per usare le parole di Chris Anderson, si passa da un mercato di massa a una massa di mercati. Massa di mercati in cui ogni consumatore ha realmente un peso. Ma se la coda è lunga la filiera è corta. Ad accorciarla ci pensano aziende come Cortilia: start up che si propone come intermediaria tra il consumatore e le piccole aziende agricole del territorio. Un marketplace ortofrutticolo digitale del chilometro zero al quale gli utenti possono abbonarsi e ricevere settimanalmente una cassetta di ortaggi o di frutta. Fondata nel 2011 da Marco Porcaro, nel 2014 ha avuto un transato di oltre due milioni di euro e ora sta consolidando la rete dei produttori per superare i confini regionali.
Se Cortilia realizza il famoso paradigma “dal produttore al consumatore”, Vineaway va oltre: porta il consumatore dal produttore e lo fa diventare parte integrante del processo di produzione. Gli utenti della start up pugliese, infatti, possono scegliere l’uvaggio e la zona di produzione, e come con Strawberry possono seguire tutto il processo di produzione grazie alla sensoristica presente nelle cantine. Ma non basta: l’acquirente può anche personalizzare l’etichetta e ottenere una bottiglia realmente unica.
Aziende che dimostrano come innovare il settore agroalimentare sia possibile. E’ anzi una strada fondamentale da percorrere per sviluppare modelli di business che creino valore in un contesto ove mantenere la competitività è necessario per tutto il paese.
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