Molti tentativi, vani o fortunati, e poi dettagli che diventano di successo. Il caso ClickMeter

Maurizio Stefanini

    Amazon, Apple, Google e Microsoft nacquero in garage. Il sogno della Silicon Valley romana inizia con uno scambio di appunti per l’università. 42 anni, un padre pilota di aereo e una laurea in Economia, una scrivania a San Francisco “nello stesso edificio di Twitter”, il romano Davide De Guz è il fondatore di ClickMeter: uno strumento di marketing online che “conta i click” su internet per colossi come le Poste americane, L’Oréal, l’Arsenal e la Henkel. E’ la sua start up una delle esperienze attorno a cui all’Eur sta crescendo un esperimento di Silicon Valley romana chiamata Pi Campus. Come lui stesso racconta, iniziò con un sito che aiutava gli studenti a trovare appunti di lezioni in rete. “Agli albori di internet in Italia, sono stato il primo dipendente di una delle prime start up: Xmedia, poi acquistata da Mediaset. Quindi ho sviluppato university.it, che ha avuto successo ed è stato a sua volta acquistato da un gruppo di investitori milanesi. Finito quel progetto, ho aperto un’agenzia di marketing online. ClickMeter era nato come strumento per misurare il successo delle campagne che gestivamo per i nostri clienti. Abbiamo visto che era sempre più apprezzato, e nel 2012 lo abbiamo reso disponibile a tutti. La risposta è stata tale, anche a livello internazionale, che dopo un anno abbiamo deciso di chiudere l’agenzia per dedicarci solo a ClickMeter”. L’accesso è addirittura gratuito: almeno 70.000 utenti ne usufruiscono senza pagare. L’abbonamento scatta solo oltre un certo volume: “Prezzo base, 19 dollari al mese”. Tra le “alcune migliaia” di clienti a pagamento il più importante è un’entità “da 200 milioni di clic al mese” che preferisce non essere citata. Proprio per gestire la clientela americana, ClickMeter ha un dipendente fisso che lavora dirimpetto a Twitter. “Abbiamo dovuto mettere un piede lì perché è il centro del business internet”. E Silicon Valley a sua volta ha ispirato Pi Campus, soprattutto per provare a risolvere quelli che De Guz definisce “i due gravi problemi importanti di chi  prova a fare start up in Italia”.

     

    Innanzitutto, un problema di Pubblica amministrazione. “Se devi vendere online, con il fisco italiano, la cosa diventa complicatissima. Se devi ottenere una carta di credito ti ci vuole qualche mese, quando negli Stati Uniti te la danno dopo un giorno. Sul web non si possono aspettare questi tempi”. De Guz si lamenta anche della mancanza di cultura aziendale. “Grazie alla collaborazione con l’Università Roma 3, abbiamo la fortuna di poter disporre di ingegneri e informatici preparati. Ma sul marketing ci sono gravi carenze. A noi servono persone che parlino perfettamente inglese e che abbiano esperienza di marketing su web, ma in Italia non ci sono aziende che permettano di fare questo tipo di esperienze. Parlo in continuazione con ragazzi in gamba, ma senza esperienza. Adesso stiamo cercando di formare qualche ragazzo per conto nostro, ma il fatto che si presenti gente che chiede subito il contratto a tempo indeterminato non è che aiuti”. Il Jobs Act non è un passo nella direzione giusta? “L’abolizione del contratto a progetto, no. A noi i lavoratori a progetto servono”. Per De Guz, più che di forme contrattuali è però un problema di “aria che si respira”: “Alla Stanford University si respira imprenditorialità. Escono imprenditori. Magari a fine corso ti dicono: esci dall’aula, crea un prodotto, vendilo, e torna tra una settimana a farmi vedere i risultati”. Pi Campus è strutturato su alcune ville in mezzo al verde. “Lo abbiamo creato per attrarre talenti. Oggi chi è bravo non cerca solo i soldi, ma un buon ambiente di lavoro. Qua c’è il verde, la piscina, ognuno lavora nell’orario che vuole senza cartellini. Il venerdì facciamo una cena tutti insieme, ogni tanto c’è una mostra di quadri. Abbiamo creato una comunità che attrae i talenti verso un posto dove è bello lavorare”.