Tutti i numeri delle imprese innovative in Italia. E la prova che il nostro paese insegue ancora

Luciano Capone
Qual è lo stato di salute delle start-up in Italia? A fare il punto della situazione sono il Politecnico di Milano e Italia StartUp

    Qual è lo stato di salute delle start-up in Italia? A fare il punto della situazione sono il Politecnico di Milano e Italia StartUp che allo Smau di Milano hanno pubblicato ieri i dati della terza edizione dell’“Osservatorio Startup hi-tech”, una panoramica di cosa accade nell’ecosistema delle imprese innovative del paese. Sul fronte degli investimenti i dati del 2015 sono positivi e segnalano una ripresa dopo la flessione del 2014 con una crescita stimata di circa l’11 per cento (da 120 a 133 milioni di euro), un incremento che proviene integralmente dagli investitori non istituzionali (che fanno segnare un più 32 per cento) bilanciato da una decrescita degli investimenti da parte di soggetti istituzionali (scesi dell’8 per cento). Circa due start-up su quattro nascono al nord, mentre delle altre due una al centro e una al sud, e vengono generalmente fondate da uomini (88 per cento) oltre i 40 anni (44) con almeno una laurea (93) e in team (74).

     

    Gli investimenti sono indirizzati prevalentemente verso il settore Ict e sono in maggioranza al di sotto dei 500 mila euro (anche se un 13 per cento supera il milione). Numeri in crescita anche per quanto riguarda il fatturato e l’occupazione. Il giro d’affari nel 2014 è arrivato a 184 milioni (più 26 per cento rispetto al 2013) e, concentrandosi sulle start-up attive dal 2012 al 2014, la ricerca ha rilevato che il fatturato medio è cresciuto del 35 per cento passando da 558 mila euro a 756mila (se invece si considera la mediana, ovvero una “start-up ideale”, il fatturato è cresciuto dai 20 mila ai 94 mila euro). Anche il numero medio degli impiegati è aumentato, passando dai 4 ai 6 in due anni, anche se in questo caso vengono considerati solo i dipendenti diretti e non tutto l’indotto di collaboratori esterni. Comunque in generale il numero di impiegati nelle start-up italiane cresce a un ritmo del 20 per cento annuo.

     

    Il quadro complessivo sembra brillante ma scolorisce appena viene confrontato con quello degli altri paesi, non tanto con gli ineguagliabili Stati Uniti di Facebook, Google e Tesla, ma con il resto d’Europa. Come ricorda Antonio Ghezzi, che per il Politecnico ha condotto l’indagine, il volume degli investimenti in Italia quasi scompare rispetto a paesi come la Francia e la Germania (per non parlare dell’Inghilterra) dove le somme investite sono dieci volte superiori. Il problema è ancora più rilevante se si considera in paesi non più avanzati ma più dinamici del nostro come la Spagna si investe il doppio e in paesi molto più piccoli come la Slovenia circa la metà. “Gli investimenti in Italia non sono ancora in linea con il pil e con la dimensione della nostra economia nello scenario globale – dice Marco Bicocchi Pichi, presidente Italia Startup – Se il dato francese è in linea con lo sviluppo dell’economia del paese, colpisce il dato spagnolo, che riporta investimenti doppi rispetto a quelli italiani pur nel contesto di un'economia non basata sull'innovazione ma su altri settori merceologici”. L’obiettivo per il mondo delle start-up italiane è quello di raggiungere il miliardo di investimenti nei prossimi anni, quindi di avere tassi di crescita molto superiori, che segnerebbe il passaggio da una boutique in cui c’è qualche oggetto di valore a una vera e propria industria. I modelli a cui si guarda sono il Regno Unito e Israele che hanno creato un ecosistema legale e fiscale ideale per far sviluppare le idee più innovative e le imprese più dinamiche. In Italia i problemi non riguardano tanto la legislazione che è tra le più avanzate, ma il mercato del credito bancocentrico. Anche in presenza di un elevato tasso di risparmio come quello italiano, se non si sviluppa il mercato dei capitali e degli investitori istituzionali per le start-up italiane sarà dura arrivare al miliardo.

    • Luciano Capone
    • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali