Lampade da cartoni per la pizza e Tetrapak. Chi sono gli italiani geniali che smontano stereotipi

Maurizio Stefanini

    Gli italiani non sono adatti alle start up. La loro specialità è la pizza, o al massimo il design”. E’ stato forse per sfidare lo stereotipo che quando ha dovuto elaborare un progetto per essere ammesso al Royal College of Art di Londra l’anconitano Federico Trucchia ha avuto l’idea di 01Lamp: una lampada a luce Led realizzata a partire da un cartone di quelli che si usano per consegnare le pizze. Dal progetto di ammissione, coinvolgendo altri tre amici, è nata una start up. Fattelo!, è il suo nome. E adesso c’è un’impresa con 26 rivenditori sparsi tra Italia, Spagna, Belgio e Germania che sta lanciando un secondo progetto: 02Noctambula, lampada fatta a partire del Tetrapak, e in cui il corpo è allo stesso tempo riflettore e circuito, senza bisogno di cavi.
    Federico ha 31 anni, come due degli amici che ha tirato nel progetto: Mattia Compagnucci, che risiede a Berlino, e Antonio Scribano, che sta a Ragusa. “La provincia più a sud d’Italia”, tiene a ricordare. Un anno in più ha invece Daniele Schinaia, di Palermo. In più c’è la designer spagnola Mireia Gordi i Vila, anche lei al Royal College of Art, che ha collaborato aiutando a sviluppare 02Noctambula. “Sfruttiamo il fatto che il Tetrapak è composto di tre strati, che sono plastica, carta e alluminio”, ci spiega Scribano. “Tagliando e rimuovendo alcune parti del materiale di alluminio siamo riusciti a creare un circuito direttamente da quello strato”.

     

    “Mirare al costo zero” era la quarta regola della New Economy dettata nel famoso decalogo “per un modo nuovo” di Kevin Kelly. Poiché il valore non dipende più dalla scarsità ma dall’abbondanza, spiegava il famoso guru di Wired, allora la generosità produce ricchezza. Arrivare a regalare certe utilità previene il crollo dei prezzi, e permette di trarre vantaggio dall’unica cosa che è veramente scarsa: l’attenzione umana. Anche Fattelo! regala online i progetti dei suoi prodotti, per chi vuole provare a farseli da solo. “Alla base c’è l’idea di diffondere la cultura del riuso, in modo da mettere in moto l’intelligenza delle persone per ridefinire gli scarti della vita di ogni giorno”, spiega Scribano. “Per questo i nostri prodotti sono in tre versioni. Nella prima, l’utente se lo può fare in casa da solo. Non chiediamo di pagare niente per scaricare le istruzioni: l’unica condizione è la condivisione sui social network. Così ci facciamo conoscere. Nella seconda versione l’utente acquista un nostro kit per la parte elettronica e ricorre a materiali di scarto per il resto. Ci si fa comunque l’oggetto in casa, pagando un prezzo minore. La terza versione è quella completa: per 40 euro si comprano le componenti già assemblate, ed è un ottimo oggetto regalo”.

     

    Partita nel 2011, nel 2012 l’idea fu presentata al Salone di Milano, è già molti chiesero di comprare la lampada di cartone da pizza. Allora fu lanciata una campagna di crowdfunding che si era posta un obiettivo di 5.000 euro, e ne ha raccolti 6.400. Nel 2013 è nata la start up, che nel 2015, oltre a essere stata accolta alla Triennale di Milano, è stata selezionata dall’Adi Design Index: una pubblicazione annuale fatta dall’Associazione per il Disegno Industriale che ogni anno seleziona i 160 progetti migliori di design al mondo. “Siamo finiti accanto ai grandi marchi storici del design, e questo è  un grande traguardo per un’impresa che nasce fondamentalmente in un momento di crisi, usando modalità differenti per finanziarsi, e proponendo un nuovo concetto di design. Un design dove non è più il designer a decidere la forma, ma che si apre allo sviluppo ulteriore da parte delle persone che vogliono provare a creare l’oggetto e a modificarlo”, spiega Scribano.

     

    Fino a che punto? In Africa sono arrivati a fabbricare stampanti 3d con parti di recupero, lo stuzzichiamo. “Ciò si inserisce nel più ampio concetto di making. Il costruire propri oggetti, che ha caratteristiche diverse in base al territorio in cui viene applicato. I makers americani, ad esempio, avendo a disposizione materiali e tecnologie appropriati, creano prodotti molto tecnologici, stile robottini, anche un po’ steampunk. In Africa fanno molto più uso dei materiali di scarto, tipo le batterie per le auto utilizzare nell’illuminazione della casa. Noi abbiamo pensato di proporre un making che avesse delle caratteristiche un po’ italiane. Con un contenuto di design, inteso come analisi del problema progettuale, che permettesse di creare dei prodotti che fossero intelligenti ma anche esteticamente belli”.