In Italia crescono le start up. Ma l'Europa è ancora lontana
Secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico le piccole imprese innovative sono di più e più robuste. Il gap con gli altri paesi europei aumenta
Il sistema delle start up in Italia cresce, ma vedendo quel che succede nel resto d’Europa ci si rende conto che in realtà potrebbe fare molto meglio. E’ questo il quadro che il ministero dello Sviluppo economico traccia nella “Relazione annuale del ministro al Parlamento sullo Startup Act italiano”, appena presentata. Il numero delle start up innovative in Italia è aumentato, come è aumentato il numero dei loro dipendenti e il valore della loro produzione. Diminuiscono anche i fallimenti, ma le imprese restano piccole: un problema legato alla difficoltà di attrarre capitale a rischio.
Ma vediamo i dati, con l’avvertenza che il registro speciale dedicato alle imprese innovative non rappresenta l’intero mondo delle start up italiane, dal momento che per accedervi le società devono avere meno di 5 anni e un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro. Ciò detto, una tendenza è chiara. Al 30 giugno 2017 le start up innovative erano 7.398: 1.456 in più rispetto al 2016, con un aumento 24,5 per cento in un anno e del 74 per cento dal 2015. Al 18 dicembre la cifra era cresciuta a 8.315: in due casi su cinque si tratta di imprese fondate da non più di un anno e mezzo. C’è almeno una start up in 1.518 dei 7.978 comuni italiani, e in ogni provincia. Capitale delle start up è Milano: 1.207, pari al 14 per cento del totale nazionale e al 62 per cento di quello regionale. Seconda regione per numero è l’Emilia-Romagna: 862. Terzo il Lazio: 813. Ma in tutto le start up innovative sono solo lo 0,67 per cento delle società di capitali attive in Italia.
Come densità, le capitali italiane delle start up sono Ascoli Piceno e Trieste: l’1,88 delle società di capitali attive, contro l’1 per cento di Milano (decimo posto) e lo 0,41 di Roma (settantunesimo). Si contano 34.120 lavoratori, di cui 23.858 fondatori e 10.262 dipendenti: il doppio in due anni. Ma il fatto che i fondatori siano molti più dei dipendenti evidenzia una realtà ancora in nuce. Nel 21,5 per cento di start up la maggioranza dei soci è under 35, una percentuale più che tripla rispetto alle altre società di capitali. Solo uno su cinque però è donna, e solo il 15 per cento delle start up innovative è partecipato in maggioranza da donne.
Secondo i bilanci 2016, le iscritte al registro hanno prodotto beni e servizi per 773 milioni di euro: 2 miliardi se ci si allarga alle Pmi innovative. E’ un aumento del 35 per cento rispetto al 2016, le iscritte nel 2015 hanno in media raddoppiato la propria produzione in un anno, quelle iscritte nel 2014 l’hanno triplicata in due anni e tra le iscritte nel 2013 una su dieci ha un fatturato oltre i 500.000 euro. Anche se il dato medio è sui 164.000 euro, grazie alle agevolazioni concesse tra le start up iscritte nel 2013 solo una su dieci è fallita. A proposito di questi strumenti, quell’Italia Smart Visa che permette di avere un visto più agevole per gli imprenditori extra Ue che vogliano fare start up in Italia ha ricevuto fino a ora 310 candidature. Primi paesi di provenienza: Cina e Russia. Nel 2017 ci sono state 149 candidature, 50 in più rispetto al 2016.
Dal settembre del 2013, le start up innovative possono ottenere una garanzia sul credito bancario da parte del Fondo di Garanzia per le Pmi, che copre fino all’80 per cento di ciascuna operazione, per un massimo di 2,5 milioni di euro. A quattro anni dall’entrata in vigore, sono stati erogati finanziamenti per 573 milioni di euro, destinati a 1.661 tra startup e Pmi innovative. Nel 2015 – ultimo dato disponibile – più di 82 milioni di euro sono stati coperti dall’incentivo per gli investimenti in equity, sui 100 milioni in venture capital registrati. 666 start up hanno ricevuto almeno un investimento da 2.703 investitori (+61,6 per cento), per un beneficio fiscale complessivo di 11,6 milioni di euro. Avverte però il rapporto: “Il capitale di rischio in Italia continua a crescere, nel 2017 soprattutto grazie alla crescita degli investimenti dall’estero che superano quelli nazionali. Ma negli altri paesi europei la crescita è stata molto più significativa e, con il passare degli anni, il gap continua ad allargarsi”. Il comparto “seed”, start up ai primissimi passi, è quasi allo stesso livello, e mancano i finanziamenti per imprese che abbiano raggiunto uno stadio di sviluppo successivo. “I round di serie B-C e successivi sono pressoché inesistenti in Italia, sia per numero che per ammontare investito”.
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