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C'è speranza per le start up italiane

Maurizio Stefanini

Ecco il fondo per l’innovazione che punta ad allinearci al resto d’Europa (l’esperienza Macron insegna)

Parlando a proposito della “Relazione annuale del ministro al Parlamento sullo Startup Act italiano” del Mise, nello scorso numero della rubrica si ricordava come le start up innovative nel nostro paese fossero aumentate come numero, dipendenti, produzione e solidità, restando però troppo piccole: un problema legato alla difficoltà di attrarre capitale a rischio. “Siamo stati bravi a farne nascere 10 mila”, ha commentato il direttore generale per la Politica industriale del ministero dello Sviluppo economico, Stefano Firpo. “Ma ora bisogna portarle sul mercato, altrimenti queste realtà saranno costrette a rivolgersi a mercati più attivi”.

  

Proprio per risolvere questo problema la legge di Bilancio ha istituito un fondo da 305 milioni per l’innovazione e le start up. Soldi “destinati a sanare il gap tra ricerca di base e l’effettiva commercializzazione del bene immateriale sviluppato” e per lo “sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività” che saranno stanziati tra il 2018 e il 2020 all’interno del piano Impresa 4.0 voluto dal ministero dello Sviluppo Economico. Più precisamente il fondo, in capo al ministero dell’Economia e delle Finanze, avrà una dotazione di 5 milioni di euro per il 2018, di 125 milioni di euro per il 2019 e 175 per il 2020. La grossa differenza di stanziamento è dovuta all’assenza di quel regolamento che nel 2018 Mef-Mise e Miur dovranno redigere per definire, su indicazione della presidenza del Consiglio, le aree di intervento prioritarie e la gestione-assegnazione delle risorse. Con quei 5 milioni, insomma, verrà finanziato solo l’avvio e la messa a regime del fondo e del team. Spiega ancora la legge di Bilancio che “il fondo è destinato a finanziare progetti di ricerca e innovazione da realizzare in Italia ad opera di soggetti pubblici e privati, anche esteri, nelle aree strategiche per lo sviluppo del capitale immateriale funzionali alla competitività del paese e per il supporto operativo e amministrativo alla realizzazione di questi progetti”.

   

Di mezzo, ovviamente, ci sono le elezioni. Un nuovo governo, specie se di differente orientamento rispetto all’attuale, potrebbe decidere in teoria di non rifinanziare il fondo per il 2019 e 2020. Tuttavia il piano è sulla linea di altre esperienze straniere, che sono state lodate un po’ da tutto l’arco politico. Macron, in particolare, prima di diventare presidente, tra il 2014 e il 2016 si era creato una fama di “ministro delle start up”, per il modo in cui aveva fatto crescere gli investimenti del settore: da 0,2 a 2,7 miliardi. In Europa, aveva portato la Francia dietro solo ai 3,2 miliardi del Regno Unito. Ma per numero degli investimenti, pari a 590, è invece il primo in Europa. Per fare un paragone, in Italia nel 2016 erano stati investiti 200 milioni in start up per un totale di 78 investimenti: esattamente la situazione francese prima dell’arrivo di Macron. E un riconoscimento al modello Macron era venuto perfino dal guru dei Cinque stelle Davide Casaleggio, al convegno “Uomini, robot e tasse: il dilemma digitale” che si era tenuto al MAXXI di Roma per l’Internet day del 30 aprile 2017. “La Francia ha investito tre volte di più rispetto a quello che in Italia è stato investito nel 2016 per le start up che riguardano le innovazioni e non possiamo permetterci questo gap rispetto a un paese d’Oltralpe”, aveva detto. Aggiungendo: “Se le società italiane ricevono dai 500 mila fino ai 5 milioni di euro per il loro potenziamento come fanno a competere con le altre società che vengono finanziate con oltre 300 milioni di euro?”. “Fino a quando devono competere con società che hanno risorse per prendere le nostre quote di mercato le società italiane dovranno subire l’innovazione che viene dall’estero. Il divario non è più accettabile. Se non intercettiamo questo trend non andremo a competere con l’innovazione ma probabilmente con i salari cinesi”.

  

Invece, dopo essere saliti tra il 2012 e il 2016 da 112 a 200 milioni, nel corso del 2017 gli investimenti in start up in Italia sarebbero addirittura scesi, fino a 150 milioni. Nello stesso periodo in Francia si è passati da 100 milioni a 2,7 miliardi, in Germania a 2,5 miliardi, in Svezia a 1,6 miliardi, Spagna a un miliardo. Nell’ultima legge di Bilancio della legislatura era stata avanzata l’ipotesi di destinare il 3 per cento dei Pir (Piani individuali di risparmio) in fondi di venture capital. Ma la norma, che avrebbe potuto contribuire ad aumentare gli investimenti italiani in start up, non è stata nemmeno discussa.

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