Imparare dai fallimenti. Lezioni da una (ex) start up
Il fondatore di TwitPic (ricordate?) ci spiega come imparare da momenti di crisi e dal mercato
Alcune volte le start up nascono già con un fallimento e diatribe tra i soci alle spalle, ma arrivano al successo lo stesso: è il caso, noto, di Twitter, lanciato il 21 marzo 2006. Noah Glass, (che inventò il nome del social network), con Evan Williams (co-creatore di Blogger, venduto poi a Google) e Biz Stone (già membro del team di Blogger presso Google), stavano per lanciare una piattaforma per gestire i poadcast simile a una casella vocale, Odeo, ma sono stati battuti sul tempo da Apple che ha inserito il servizio di poadcast gratis nell’iPod. A un passo dal fallimento, Jack Dorsey, impiegato della Odeo, propone la sua idea per un servizio di aggiornamenti di status come messaggi di testo ma pubblici e da qui è nato il social network con lo storico tweet dei dipendenti: “Sto solo impostando il mio tweet”. La storia di Twitter diventa ancora più controversa quando Glass viene licenziato dopo che Williams compra tutte le quote della società Odeo. La bio di Glass sul suo account Twitter è stata a lungo così: “Ho iniziato questo”.
Altre start up, invece, semplicemente falliscono per la concorrenza e per non aver avuto la prontezza di cambiare strategia analizzando il mercato. Interessante in questa chiave l’esperienza di TwitPic. Nata nel febbraio del 2008 da un’idea di Noah Everett per caricare le foto e video sul social network grazie un link abbreviato, fin dall’inizio è stata un punto di riferimento per chi voleva twittare i propri scatti (all’inizio il social network non lo permetteva). Su TwitPic si potevano applicare dieci diversi effetti, c’erano varie modalità di scatto e strumenti per ritagliare, ruotare e apportare modifiche al bilanciamento dei colori e alla luminosità dell’immagine. In questo modo, sul proprio account si creava una sequenza con le proprie immagini e quelle dei propri amici, con la possibilità di commentare. C’era, inoltre, uno spazio dedicato alle foto e ai video più popolari in rete, una specie di Instagram ante litteram.
Parlando con il Foglio della sua idea, Noah Everett racconta che “tutto è iniziato come un progetto secondario, messo in piedi durante un fine settimana. Avevo notato che non era semplice caricare foto su Twitter. Mi auguravo che fosse utile ai miei amici e magari anche altre persone lo avrebbero usato. Non avrei mai immaginato che sarebbe esploso come ha fatto”. Everett era solo un programmatore di computer a cui piaceva creare progetti nel tempo libero, tenere il passo con la crescita di TwitPic è stato difficile, tra i sempre più numerosi server necessari e le persone giuste da assumere. Al suo apice, TwitPic aveva ottantamila nuovi utenti al giorno, più di trenta milioni in totale. Nel marzo del 2009, Everett molla il suo lavoro a tempo pieno per focalizzarsi completamente su TwitPic, ormai diventato il sinonimo di “foto su Twitter”. A metà del 2011, però, Twitter lancia il proprio servizio di condivisione foto e inizia a restringere alle terze parti l’accesso alla propria Interfaccia di programmazione. Il giorno dopo, Everett lancia un nuovo servizio di microblogging, Heello, che permette agli utenti di mandare e leggere messaggi sotto forma di post e di condividere foto e video: ping al posto dei tweet. A gennaio del 2013 conta più di un milione di utenti, ma viene chiuso il 15 agosto del 2014. Nel 2012, intanto, TwitPic viene quasi acquisita da un’altra società: l’accordo prevede però che Everett rimanga nella società ancora a lungo. Everett rifiuta.
Twitter acquista TwitPic il 25 ottobre 2014, comprando il dominio e tutto l’archivio di foto e video, salvando così i file multimediali degli utenti.
Il 21 luglio del 2014 Everett annuncia il lancio di un nuovo servizio, Pingly, una sorta di casella di posta in cui vengono unificate tutte le comunicazioni. “Pingly soddisfa un bisogno che avevo per una migliore comunicazione tra le persone rispetto a come avviene oggi tramite email, sms e messaggi vocali, riunendole in unico posto”, spiega Everett al Foglio.
Dal lancio della sua prima start up, Everett racconta di aver imparato a non lasciare che lo stress lo immobilizzi e lo abbatta, e che per far crescere un progetto in maniera efficiente bisogna curare soprattutto l’aspetto tecnico. Avere avuto un’esperienza in un’altra start up aiuta molto a non fallire nelle imprese che si avviano dopo, anche se ovviamente l’esperienza non è sempre garanzia di successo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano