Abbandonarsi alle riemersioni e ritrovarsi a fare flessioni con Bon Iver

Stefano Pistolini

Oggi parliamo di riemersioni. Ovvero di personaggi musicali dei quali si sono perse le tracce e poi, d'un tratto, riaffiorano – oppure semplicemente ci capita a sorpresa d'imbatterci in loro, su un disco, sul web, su YouTube.

    Oggi parliamo di riemersioni. Ovvero di personaggi musicali dei quali si sono perse le tracce e poi, d'un tratto, riaffiorano – oppure semplicemente ci capita a sorpresa d'imbatterci in loro, su un disco, sul web, su YouTube. A volte l'effetto di questi revival è un cortocircuito: ci rendiamo conto di quanto talento avesse un artista, scopriamo qualche sua qualità di cui non ci eravamo accorti o, ancora, ci pare di apprezzarli più che in passato.
    Per esempio Daryl Hall. Lo ricorderete, nell'inossidabile duo con John Oates, che portava i loro cognomi. Lui era quello biondo e alto, più cantante e meno strumentista, in un valente sodalizio dal forte aroma white soul. Senza preavviso è riapparso sul nostro computer, capeggiando una bella formazione di rhythm'n'blues in un'esibizione televisiva che sembrava realizzata ad hoc. E infatti era proprio così: si chiama “Live from Daryl's House”, è uno show a cadenza mensile che il veterano del soul organizza a casa sua dal 2007, reinventandosi in una dimensione adatta ai tempi digitali. A casa di Daryl sono passati in tanti, da Smokey Robinson a Ray Manzarek dei Doors, a Todd Rundgren. Il risultato è sempre una session dai forti accenti funk, godibile da guardare e sentire. Daryl Hall canta ancora magnificamente, ha un'aria consapevole e troppo fondo tinta sulle guance. Riscoprirlo in salute è piacevole e naturalmente subito spunta il suo nuovo album, intitolato “Laughing Down Crying” che è ciò che ci si aspetta: una piacevole collezione di soul tunes, egregiamente cantati e interpretati con competenza. Se il vostro cugino ricco sta organizzando il proprio matrimonio, per la parte musicale consigliategli di ingaggiare Daryl Hall: e la giornata diventerà memorabile.

    Le riemersioni numero 2 e 3 riguardano dei fantasmi. Quello di Amy Winehouse, prima di tutto, subito disturbato dal primo di quegli album di “inediti & rarità” che minacciano di diventare la sua seconda pietra tombale. “Lioness Hidden Treasures”, i tesori nascosti della leonessa (si poteva trovare titolo più odioso?), è una collezione di outtake e ritagli, nei quali riluce la voce di Amy, ma s'intuisce l'incompiutezza delle registrazioni. Spesso sono materiali datati, con la Winehouse impegnata nella stereotipata parte della cantante di jazz, comprese le sue dimenticabili interpretazioni di “The Girl From Ipanema” o il duetto con Tony Bennett in “Body and Soul”. Il fascino di Amy c'è, momenti splendidi anche, ma questa Winehouse “interprete” non convince e lascia in bocca un gusto sgradevole, difficile da evitare, perché l'aggettivo chiave per questo prodotto sta tutto in una brutta parolina: “Postumo”.

    Secondo spirito evocato quello di Stevie Ray Vaughan, ultimo eroe del blues elettrico. Roma non è il Texas, ma ricordo con chiarezza l'amore assoluto che circondò questo musicista nel breve e bruciante periodo della sua ascesa. Lui, la sua voce, ma soprattutto quella valanga di note che scaricava dalla Fender, provocarono passioni con pochi precedenti, in particolare tra quanti si sentivano figli dell'America profonda. Ebbene, se Stevie Ray non è stato dimenticato, ora è spuntato un suo epigono che farà correre brividi sulla schiena ai patiti. Il bello è che Virgil McMahon non viene dal Texas, ma dal Sudafrica, e ha soltanto 19 anni. Il suo talento è enorme: per ora si esibisce in trio, con la denominazione Virgil and the Accelerators. Si è fatto le ossa nei club inglesi e ora, in coincidenza con l'album d'esordio, “The Radium”, è pronto al grande salto. Metteteci che è un gran bel tipo, una specie di giovane divo maledetto di Hollywood, e le premesse ci sono. Ma il fatto più importante è che, grazie alla sua chitarra strabordante, riemerge quel suono un po' dismesso che sta al rock, come l'ossigeno sta alla nostra sopravvivenza.
    Ultima riemersione: i video di workout, quelli per insegnarvi a fare ginnastica da soli e darvi il ritmo e l'illusione di imitare i tipi muscolari e le tipe volitive che dalla tv vi davano ordini per ridurre le maniglie dell'amore. Ricordate Jane Fonda in calzamaglia e fascetta sulla fronte? Erano i vitaminici anni Ottanta. Il video-fitness sembrava finito in soffitta, e invece ecco che uno dei personaggi più alla moda del momento, ovvero il riverito Justin Vernon, alias Bon Iver ha deciso che era il momento di rifarlo. Sì, avete capito bene: un video di workout condotto da Vernon che, nell'intervista di presentazione, ci ricorda che fare moto fa bene, migliora l'umore e va d'accordo perfino con una musica indolente come la sua, mica solo con l'“Eye Of The Tiger” con cui ci faceva sgambettare la donna che fu Barbarella.