Dischi paralleli

Stefano Pistolini

Tre bei modi per iniziare il 2013 con atmosfere delicate, acustiche americane e psichedelie

    Mantenendo un flusso continuo quanto affidabile, anche alla svolta del nuovo anno il mercato delle etichette non corporate americane (continuare a parlare d'indipendenza è puro passatismo) rifornisce gli appassionati di titoli validi. Ve ne segnaliamo tre per gusti diversi.
    Kemp Mule è una bellissima figlia della Georgia, venticinquenne e attualmente fidanzata con Sean Lennon, il secondo figlio del grande John. Da quando è ragazzina fa la modella ed era ancora minorenne quando svettava sulle copertine dei magazine più famosi. Ma adesso la sua antica passione per la musica ha preso il sopravvento. Insieme al partner ha aperto un'etichetta e l'ha chiamata Chimera, che ovviamente ci ha messo poco a diventare una delle sigle più chiacchierate della Grande Mela (anche mamma Yoko Ono ha inciso un album per il marchio, insieme a Kim Thurston ex Sonic Youth). E ora Kemp debutta insieme all'amichetta d'infanzia, Eden Rice, che è bella e ricercata quasi come lei. Il duo, Kemp & Eden, è diventato presto uno dei set più chiacchierati e contesi in città, ma il loro disco d'esordio, “Black Hole Lace”, è una sorpresa piacevole. Le atmosfere sono pura delicatezza, lievità, leggerezza. Le voci sono eteree ed educate, le basi musicali sofisticate e piacevoli, col “giovane” Lennon che orchestra il tutto con sapienza e gusto. Le atmosfere sono quelle di un'aristocratica “sisterhood” e l'album gronda intellettualismo elegante e la composta gioia di vivere dei privilegiati. Probabilmente non un prodotto che brilli per simpatia, ma non è difficile credere che la Muhl abbia le carte in regola per diventare un personaggio di primo piano, insieme all'amica Eden, oppure con The Ghost of a Saber Tooth Tiger (il fantasma di una tigre coi denti a sciabola), l'altro progetto musicale a cui si dedica, in questo caso in compagnia del suo boyfriend Sean.
    Assai meno ricercato, ma più rilassato e per molti versi più coinvolgente è “Fade”, il nuovo album di Ira Kaplan e Georgia Hubley, una delle coppie regnanti dell'alternativa americana, sotto la sigla Yo La Tengo che, a dispetto della loro prolificità, non si faceva sentire da tre anni, ovvero dai tempi di “Popular Songs”. Sarà che questa è gente del New Jersey, antitetica ai ragazzi-bene di Manhattan, ma “Fade” è un confortante album sereno, calmo e romantico, nice and warm, che conquista un po' alla volta e a cui ci si lega affettivamente. Canzoni lunghe, predominanze acustiche, periodici sottofondi rumoristici a memoria di quel noise rock al quale Yo La tengo furono a lungo assimilati. E poi preziose armonie vocali, un lavoro chitarristico di prim'ordine che riecheggia indimenticabili progressioni di Nick Drake e un notevole gusto pop. Un disco di prim'ordine, per ascoltatori consumati, quelli alla spasmodica, caccia di novità, che però riecheggino sempre il lungo cammino percorso dalla canzone americana.

    Un album che racconta una storia intera
    Il terzo titolo di giornata è il frutto della fine di un effimero sodalizio che ci aveva fatto ben sperare, ovvero quello costituito a San Francisco, sotto la sigla Girls, dall'autore e cantante Christopher Owens e dal produttore e polistrumentista JR White. Dopo due notevoli album, la storia dei Girls si è conclusa e Owens ha spiegato che non ne poteva più dei cambi di formazione imposti dal socio, col risultato di sentirsi sempre un pesce fuor d'acqua circondato da estranei (21 musicisti si sono alternati nella breve storia dei Girls). Owens cercava altro e non è difficile capirne i motivi, se si conosce la sua tormentata biografia, che narra di problemi infantili, di adolescenza in una comune religiosa e poi di fughe e vagabondaggi. Comunque, senza esitazioni e con sollievo per chi crede che Chris Owens sia un vero talento raro, è già arrivato il suo primo lavoro solista e il disco è di grande qualità. Si chiama “Lysandre”, ha una magnifica copertina con un ritratto di Owens firmato dal fotografo Ryan McGinley e presenta l'artista al centro di un sistema musicale ricco e strutturato, con tanti riferimenti anni Sessanta, citazioni psichedeliche, flauti, cori e strumenti acustici, prelibatezze armoniche e il migliore soft rock che si possa ascoltare all'altezza dei nostri anni Dieci. Owens (“Listen to me sing, New York City”) padroneggia una sapiente vocalità romantica, meno travolgente di quella di un Rufus Wainwright e con più gusto crooner. E il bello, infine, è che tutto il disco racconta un'unica storia, quella ispirata al personaggio che le dà il titolo, Lysandre, una ragazza che Owens conosce in Francia durante il primo tour internazionale dei Girls. E' lui stesso a parlarne come del racconto di una maturazione, di un viaggio e di un breve amore in Costa Azzurra, prima che per i Girls non arrivi il momento di ripartire e per Chris s'imponga la separazione da Lysandre. Che, come insegnava il caro Flavio Giurato in quel suo memorabile pezzo, pagherà il fio dell'incontro: “Amore, amore amore, non andare coi cantautori, sennò finisci nelle canzoni”. “Lysandre” è un gran bel modo di cominciare il 2013 in musica.
    Stefano Pistolini