Il risveglio di due grandi vecchi della musica

Stefano Pistolini

Un segnale curioso, ma tutt'altro che imprevedibile, quello arrivato subito all'imbocco del 2013 dal mondo musicale. Il risveglio dei cari fantasmi.

    Un segnale curioso, ma tutt'altro che imprevedibile, quello arrivato subito all'imbocco del 2013 dal mondo musicale. Il risveglio dei cari fantasmi. Da Prince già in autunno ci era arrivato un cenno, con un singolone non particolarmente ispirato, narciso e gravido di autoreferenzialità, “Rock'n'Roll Love Affair”, con tanto di videoclip e di partecipazione allo show di Kimmel che non aggiungevano molto, ma lo mostravano affilato e in eccellenti condizioni. Adesso i segni si moltiplicano: c'è un'altra canzone, “Same Page Different Book”, a cui ad arte si fa fare capolino in rete, per smuovere le acque, si viene a sapere che Prince suona per la colonna sonora del “Grande Gatsby” di Baz Luhrmann e che, ovviamente, un album è in rampa di lancio. I tempi sembrano benigni per una sua rentrée in grande stile, per cui non è difficile ipotizzare che questo potrebbe essere l'anno in cui, dopo uno iato decennale e un'assenza imperdonabile e inspiegabile se non con le sue vezzose bizzarrie, Prince tornerà a essere un artista mainstream e un campione delle classifiche e dei grandi eventi. Ben ritrovato, davvero, perché il tempo ci ha fatto riflettere sulla reale composizione della sua musica, sul modello architettonico che l'allestisce, sulla spiritualità che contiene e che pure si adagia su contenuti mondani, a volte volutamente camp, e finalmente ci ha rivelato dove risieda la misteriosa materia mistica di cui Prince è convinto d'esser fatto. In fondo, il suo, altro non è infatti che un accesso alla postmodernità, con le sue bestiali miscele di sacro e profano, prodotte non per via intellettuale, ma attraverso l'ossessione dei ritmi e del groove della black music della quale si considera l'ultimo apostolo. E in quel suono, nel canzoniere che ha costruito a partire da quell'intuizione, Prince riversa tutto – amore, vita, morte, pensieri ed estetica – dando vita a una rappresentazione eccessiva, circense eppure sanguigna, tremendamente romantica, spendendosi fino in fondo, mostrandosi, esagerando. Chi crede in lui, può ricominciare a farlo al presente, con l'imminente arrivo del nuovo capitolo del suo vangelo.

    Altro discorso va fatto attorno all'emozione crescente intorno alla riapparizione miracolistica di David Bowie, dato per semi morto da fonti piuttosto attendibili. Le cose, come al solito, stanno in modo più complicato e contraddittorio, con tutto il disseminarsi d'incertezze e ritrosie caratteristiche del diventare davvero grandi – vecchi – eppure meno saggi del prevedibile. Mostrarsi o negarsi? “A man lost in time”, un uomo perso nel tempo canta Bowie di sé, in “Where are we now?”, il pezzo che ce l'ha restituito con la potenza di una fiocinata emotiva. Per ora un videoclip, a marzo un album vero e dunque un ritorno a tutti gli effetti, anche se adesso è eccessivo pensare a pendant dal vivo. Ormai delle sue cattive condizioni di salute si era letto a profusione e una recente biografia dell'artista, “Starman” del bravo Paul Trynka, aveva motivato il tutto, elencando eccessi e pericolose stravaganze dei suoi anni ruggenti, quando era Ziggy e ancor di più nell'esilio berlinese durante il quale Bowie riuscì prodigiosamente a rimettere insieme i pezzi e infine a ripartire. Non è un caso che proprio a quel periodo, alle memorie offuscate di una Berlino che non c'è più, quella degli Hansa Studios, dell'appartamente sopra il garage, delle zingarate con Tony Visconti, David sia tornato per disincagliare la nave della creatività dai ghiacci dell'età, tornando sui luoghi di quell'acme esistenziale, richiamando Visconti, l'eterno compare e affidando il tutto alla visualità di un artista abile come l'amico Tony Oursler, famoso per le sue distorcenti proiezioni su corpi curvi, procedura alla quale non sfugge il volto gonfio e segnato dell'artista, affiancato da una donna misteriosa su cui si sono scatenate le congetture più fantasiose. Il pezzo è bello, enormemente triste, ci conferma quello che non avevamo mai messo in dubbio ovvero che Bowie sia un artista assoluto, che finché vivrà saprà mettere meravigliosamente in musica scenari, personaggi e sentimenti. Aspettiamo l'album per festeggiarlo, ma non chiediamo l'impossibile, accontentandoci di celebrare la sua capacità di vincere il pudore, di scansare la ritrosia, di venire a patti con la vanità e di offrirsi per ciò che è oggi e per ciò che resta della sua ispirazione. La cosa che qui però subito vogliamo celebrare, è piuttosto la mobilitazione, l'emozione, il sospiro collettivo che ha accolto l'apparizione di questo video. E' stato un silenzioso riconoscimento, una commozione collettiva, una riflessione sulla profondità dello spazio e del tempo che ci avvolgono. Come dire “ecco, torniamo a incontrarci. Non può essere come la prima volta, ma è così, oggi, adesso, tra noi”. Un modo di descrivere ciò che siamo stati e ciò che siamo adesso. Usando i nostri eroi e quel che resta di loro, per specchiarci e continuare a procedere, al nostro meglio.