Francesco Di Bella in una foto di Lidia Tagnesi via WIKIPEDIA

Un disco per capire che in Italia il mondo discografico non è in crisi (e un altro per purificarsi)

Stefano Pistolini

Parliamo ancora di buona musica italiana per festeggiare il tardivo ma efficacissimo esordio solistico di Francesco Di Bella, con un album che porta il suo nome completato dalla definizione “Ballads Café”.

Parliamo ancora di buona musica italiana per festeggiare il tardivo ma efficacissimo esordio solistico di Francesco Di Bella, con un album che porta il suo nome completato dalla definizione “Ballads Café”, e perciò rievocando ancora una volta quella tazzulella d’estasi nera e fumante con cui più o meno tutto cominciò per la nuova canzone napoletana, quando correva l’anno 1977 e Pino Daniele era un guaglione di difficile collocazione artistica, sospeso com’era tra Fuorigrotta e il Chicago blues. Francesco, invece, è stato per una ventina d’anni il cantante dei 24 Grana, una delle migliori formazioni di quel suono partenopeo nato sulle ceneri della new wave internazionale, come prodotto locale, veloce e fruttifero di altre contaminazioni radicali, quelle della reinvenzione di un neo-pop motivato dalla stessa energia delle origini (come avvenne nell’Inghilterra di Costello e poi dei Blur o nell’America di Blondie, Talking Heads, Cars, fino agli Strokes), mixato con tutto ciò che di sedimentato, irrinunciabile e passionalmente condiviso salisse su dalla musica delle radici.

 

Band longeva, i 24 Grana, arrivati di recente forse al capolinea, o perlomeno all’avvio di una pausa d’ossigenazione lungo la quale Di Bella ha cominciato a portare in giro, per lo più in duo col chitarrista Alfonso Bruno, un repertorio di canzoni vecchie e nuove, comunque rimasticate, rese più intime, personali e contemporanee. Ora il percorso prende la forma di disco e il risultato è notevole e suggerisce l’impressione che proprio l’intento di quel Pino Daniele delle origini, col suo bagaglio di personale, casuale, introverso e di naturalmente popolare e armonico, trovi qui una personalità nella quale riprendere vita, attraverso le fattezze spigolose di questo cantante difficile da collocare nel passato o nel presente, nella tradizione o nella ricerca, ma che abita confortevolmente la melodia e conosce i segreti dell’esecuzione raffinata e della canzone confidenziale (nel senso più psicologico della definizione). Un lavoro egregiamente completato dalla produzione (per una label napoletana storica, La Canzonetta) di Daniele Senigallia, che di suoni rarefatti, di atmosfere dense e sospese, di musica contemplativa e introspettiva è un maestro dai tempi della sua militanza nei Tiromancino (gruppo per parecchi versi speculare ai 24 Grana) e poi nel percorso di produttore e compositore, spesso per il cinema.

 
Che disco hanno messo in piedi questi due talenti, col valido supporto di un’eccellente band? Un napolitan dub circospetto e affascinante, guidato dalla intensa voce di Francesco, dal suo morbido fraseggiare in un dialetto gestito con savoir-faire e senza ghirigori turistici, condito da lievi vocalizzi di gusto mediorientale, su percorsi melodici noti a chi abbia ascoltato il suo gruppo in passato, con effettivi classici contemporanei come la splendida, “La costanza”, o “Resto acciso”, “Introdub” e “Luntano”.  Un disco di gusto, intelligenza e qualità di composizione ed esecuzione. Un altro squarcio di originale bellezza, che ci invita a rilassarci. Se in due settimane Federico Fiumani e Francesco Di Bella ci hanno dato due album, piccoli, indipendenti e potenti come questi, la musica, nel 2013, abita ancora anche qui da noi.

  

Suoni per ipersensibili

A proposito di anime che non smettono di risuonare di magnifica musica, pur passate a miglior vita: sono tre anni che Mark Linkous ha messo fine alla propria esistenza, a 48 anni, con un carico di malessere che ha giudicato insopportabile. La sua carriera artistica, condotta sotto la sigla Sparklehorse, non smette di impressionarci per la caratura di ciò che ha prodotto e che continua a ossessionarci benignamente, colonna sonora di un disagio composto che potrebbe finire sotto la generica etichetta di “musica per ipersensibili”, o per amanti del particolare, per cultori dell’invisibilità, per studiosi delle cose minime, delle estasi casuali e purificatrici. Ne parliamo perché ci siamo imbattuti di nuovo nell’ultimo lavoro realizzato da Linkous, quando la sua tensione con gli obblighi dello show business era ormai logorata. E’ un notevole disco prodotto a quattro mani con Danger Mouse, produttore-guida di queste musiche delicate e ad alto tasso psichico, e con il contributo visuale niente meno che di David Lynch, che realizzò un libro fotografico pensato come un compedio alle musiche. La lista di ospiti del lavoro dal titolo a doppio senso – “Dark Night Of Soul” – è impressionante, da Jason Lyttle dei Grandaddy a Vic Chesnutt, a Black Francis, ai Flaming Lips. Sono canzoni, diciamo così, “nello stile” di Mark Linkous, mentre lui si accomiatava dalla compagnia e dal rifugio della musica. Un disco struggente e bello. Purtroppo uscito postumo allorché il titolare aveva compiuto il suo gesto finale. Altra testimonianza pacata di quanto di bello l’incontro tra talenti – siano Linkous e Danger Mouse o Di Bella e Senigallia – possa creare, con poco altro che l’energia, le idee, la convergenza d’intenti.

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