Pharrell e quel formidabile mix
Chissà che sensazione dev’essere venir considerato il Re Mida del pop, l’artista che passando lascia una scia dorata e dove offre il suo leggiadro contributo trasforma il prodotto in un successo.
Chissà che sensazione dev’essere venir considerato il Re Mida del pop, l’artista che passando lascia una scia dorata e dove offre il suo leggiadro contributo trasforma il prodotto in un successo. Già, perché dal momento che proprio il “successo” è l’ossessione di questi tempi di crisi anche nello showbiz, dove non solo è difficile emergere, ma lo è sopravvivere, farsi amico uno come Pharrell Williams oggi è la migliore assicurazione sulla vita che ci si possa augurare. Le tappe dell’ascesa di Pharrell le conosciamo, volenti o nolenti: non è un novellino, ha 40 anni suonati, si è fatto una reputazione insieme all’amico d’infanzia Chad Hugo con la sigla The Neptunes, produttori specializzati in hits, remix e Grammys Awards, al soldo dei campioni d’America: Madonna, Beyoncé, Shakira, Timberlake, Britney, Jay-Z, Usher, Kanye West e perfino gli adorati Frank Ocean e Kendrick Lamar. Solo in un secondo tempo Pharrell decide di tentare la fortuna in proprio, forte delle amicizie importanti che si è fatto. Dopo un primo album che non smuove granché, è nel 2013 che succede tutto: non s’era mai visto apparire lo stesso artista, Pharrell appunto, nelle due canzoni di maggior successo dell’anno a livello planetario, star dei relativi videoclip: “Get Lucky” dei Daft Punk e “Blurred Lines” di Robin Thicke contano entrambi sulla sua partecipazione vocale e sulla sua fisicità inconsueta, che ha il dono di un’imbattibile contemporaneità. Tutti i consumatori di pop music hanno di colpo la sensazione d’aver sempre conosciuto Pharrell, come se lui fosse lì da un’infinità di anni, a garantirci intrattenimento e ritmiche distrazioni e non fosse un newcomer dotato di un non comune intuito per le apparenze. E’ la disinvoltura il gran segreto di Pharrell, il modo in cui si presenta (e in cui canta, fermo restando che ha le corde vocali al posto giusto), quella nonchalance ironica, quel tocco modaiolo un po’ camp ma che fa tanto copertina dei rotocalchi per teens. E’ una figurina positiva gioiosa ed edonistica, è il tipetto pepato e divertente, quello con cui le ragazze vorrebbero uscire nelle serate in cui si vogliono divertire. Delizioso pensiero debole, trendy e levigato, Miami style, assemblato alla perfezione. Non a caso la terza stoccata di Pharrell è magistrale: dopo i duetti e i featuring, si gioca la carta in proprio, con un nuovo tormentone che ha preso subito l’America alla giugulare e adesso è un’epidemia anche da noi: si chiama “Happy” e lui ha l’idea di promuoverla con un video in cui la canticchiano una galleria di star che vanno da Magic Johnson a Jamie Foxx, da Steve Martin a Jimmy Kimmel, da Janelle Monae alla crew di Odd Future. Effetto virale alla “Harlem Shake”: tutto il mondo comincia a registrare video fatti in casa in cui gruppi più o meno omogenei cantano “Perché sono contento / fai un applauso se ti senti come una stanza senza soffitto / perché sono contento / fai un applauso se pensi che la felicità sia la verità” e via di questo passo, in una sorridenza un po’ da setta di rinati (ricordate l’effetto-ipnosi di “Don’t Worry be happy”?), ma che si diffonde come l’ultimo giochino in città e minaccia di continuare a farlo in direzione dell’estate, dal momento che l’irresistibile ascesa di Pharrell è stata appena salutata niente meno che dall’Oscar proprio per “Happy”, come soundtrack del cartone animato “Cattivissimo Me 2”. Piove sul bagnato. Adesso, arriva l’album, con notevole audacia, perché non è difficile supporre che ormai i cecchini della critica si stiano attrezzando per far secco Pharrell. Ma “Girl”, in effetti salutato da recensioni non entusiastiche, è invece un prodotto di qualità eccellente, che ribadisce la convinzione che alla base del boom di Pharrell ci sia una competenza straordinaria e un tocco inimitabile nella confezione di musica leggera per questi tempi. Il disco, nel quale ovviamente splende il motivetto di “Happy”, è una tesi accademica, senza cadute di stile o cedimenti di standard, su come produrre intrattenimento musicale gradevole e solare. Emerge potente il modello artistico a cui Pharrell aspira (Michael Jackson, con tocchi di Timberlake, di Chic, di funk anni 70 e di L.A. disco – perché Pharrell è andato sul sicuro e in “Girl” non ha preso rischi), mentre nei testi si sbandiera un femminismo di facciata non proprio convincente (ma chi gliel’ha prescritto?), per l’artista che pochi mesi addietro tentava di tenersi alla larga dalle critiche sessiste rivolte a “Blurred Lines”. Ma il disco marcia come una Lamborghini su un’autostrada californiana in una mattina d’estate. Che in fondo poi è un po’ dove tutti ci immaginiamo di venir proiettati ascoltando canzoni sexy come queste: al volante della fuoriserie, vestiti Versace, con quella tipa nucleare nel sedile a fianco, il resto della compagnia che ci aspetta al party sulla spiaggia e una bottiglia di Dom nel refrigeratore. Le cose andranno sicuramente così perché – non ve ne siete accorti? – anch’io d’un tratto mi sento assolutamente happy.
Il Foglio sportivo - in corpore sano