Il basket e la vita
Tutto partì da una visione: un cesto di legno per le pesche appeso un po’ in alto per tirarci una palla dentro
Ho una notizia: la narrazione sportiva, finalmente anche in Italia, è diventata genere letterario. Se ne sono accorti tutti, ormai, e non perché la biografia di Francesco Totti sia in cima alle classifiche di vendita dei libri o, almeno, non solo per quello. Nel nostro paese abbiamo risolto, per anni, il problema di dignità letteraria dello sport grazie ai virtuosismi di alcuni padri fondatori: Dino Buzzati, Orio Vergani, Giovanni Arpino, Gianni Brera. Spesso giornalisti che cantavano lo sport raccontandone in maniera affascinante le gesta. Sul campo, in bicicletta, sul ring. Oggi, tuttavia, quantità e qualità di produzione, hanno travolto i frangiflutti di chi si ostinava a distinguere la letteratura, quella vera, da quella sportiva, inevitabilmente considerata di serie B. Certo, qualcuno c’è ancora (c’è perfino chi usa ancora il telefono a disco!), ma ormai la fortezza è stata espugnata. Proverò a portarvi nel cuore della fortezza, giù fino alla santabarbara. Non saranno, le mie, esattamente recensioni. Saranno storie che raccontano storie. Racconterò due libri di sport in cui vedo una certa simmetria, linearità, continuità. O viceversa squilibrio, incoerenza, discontinuità. Sarà un viaggio, andata e ritorno, fra grandi classici e contemporaneità o nuove uscite.
Giusto per stabilire le regole di ingaggio, nessuno si stupisca se fra i libri di narrazione sportiva ci metterò Il Vecchio e il mare o l’Odissea. Fa parte del viaggio. Avrò raggiunto l’obiettivo se, alla fine, vi verrà il desiderio di leggere entrambi i libri, sentendo la necessità di un gesto: mettere insieme due pezzi di mondo avvitandoli o facendo combaciare due tessere di un mosaico che possano restituire un’immagine più grande, più nitida, più completa. In qualche modo, spero, più bella. Iniziamo, dunque. Parto con il basket, uno sport che aveva fatto intuire la propria genialità fin dal 1891, quando James Naismith si fece fotografare, a Springfield, con un cesto di legno per le pesche che avrebbe poi appeso un po’ in alto per tirarci una palla dentro.
Il primo libro che scelgo è Basket & Zen (Libreria dello Sport, 1998) di Hugh Delehanty e Phil Jackson, straordinario coach. Assume un valore speciale in virtù della recente scomparsa di Tex Winter, storico assistant coach di Jackson e inventore del triangolo offensivo, schema di gioco che è la chiave per capire tutta la narrazione. Jackson racconta una visione che va oltre il basket e che si può riassumere in un unico concetto: il potere del noi è superiore al potere dell’io. Ci riesce grazie a una straordinaria capacità di interagire con i suoi atleti (da brividi l’episodio in cui racconta di aver letto negli spogliatoi, prima di una partita di playoff, un brano de Il libro della Jungla di Kipling). Tuttavia la sua filosofia passa attraverso l’adozione sistematica, come schema d’attacco, del triangolo di Winter. Sublimando la bellezza del passaggio, realizzava in pratica un’idea che richiedeva grande applicazione, fatica, sacrificio. Un modo di giocare che in pratica riduceva il protagonismo individuale a favore di un’intelligenza collettiva: la squadra. Il risultato? Prima Michael Jordan segnava un sacco di punti, ma i suoi Chicago Bulls perdevano. Con il triangolo iniziò a segnare molto meno e, proprio per questo, la sua squadra vinse sei titoli NBA e lui diventò il dio del basket.
Il secondo libro, anzi la seconda storia, è quella scritta di un campione assoluto della palla a spicchi: Kareem Abdul-Jabbar. Dopo Coach Wooden and me (Add Editore, 2017), Kareem si conferma narratore straordinario con il suo Sulle spalle dei giganti (Add Editore, 2018), in libreria da pochissimi giorni. Il basket diventa conseguenza e pretesto per parlare di storia, antropologia, sociologia, musica, arte. Kareem ha cambiato un paradigma del basket con un gesto artistico, il suo gancio cielo, inventando un nuovo modo di andare a canestro, una specie di Fosbury del basket. Ci fa scoprire la genesi di quel gesto narrando la Harlem Reinassance, ciò che successe nel quartiere di Harlem, New York, nella prima metà del secolo scorso. Letteratura, politica, jazz che crearono le condizioni per generare la prima squadra tutta composta da atleti di colore, i Rens. Sulle spalle dei giganti è un saggio che racconta un modo di vedere il mondo: “Scrittori e jazzisti mi hanno reso una persona migliore”, dice Kareem, che svela che gli sarebbe piaciuto diventare insegnante di storia se non fosse stato uno sportivo. Tuttavia, visto il talento che lo portava in quella direzione, chiarisce: “Sarei dovuto diventare un giocatore di baseball. Non di pallacanestro. Decisamente non di pallacanestro”. Parlerò di libri di sport così. Non recensioni. Decisamente non recensioni.
Il Foglio sportivo - in corpore sano