Anche Uber ti dà la pagella
La febbre del rating può destabilizzare la nostra idea di sharing economy
"Tu quanto hai?” è il tormentone di questa settimana a San Francisco e non ci si riferisce a un’epidemia di febbre. Da qualche giorno Uber ha reso pubblici i nostri rating. Di noi utenti. Come impone l’etica e l’etichetta della sharing economy (che è soprattutto una rating economy), tutti valutano tutti. Siamo stati a intervistare un luminare di Stanford, mentre lo annunciavamo tutti fieri a un nostro amico millennial: “Ah, ma ha solo 4,37”, diceva deluso dopo aver consultato un sito di rating studentesco. A San Francisco, da Yelp in giù, ci sono stelline per qualunque cosa, dalla lavanderia alla palestra al ristorante (con app tipo OpenTable per prenotare), che sanno tutto di te. Il concetto di rating però sta pericolosamente diventando democratico, erodendo il concetto del “cliente ha sempre ragione”.
Finora l’unica piattaforma che prevedesse il rating reciproco era Airbnb. Adesso però arriva Uber che ci sbatte in faccia il nostro punteggio. Anche qui, gli autisti da sempre mettevano le stelle ai trasportati, ma noi non lo volevamo sapere. E’ uno choc. Noi, che si era sempre pensato d’essere clienti modello, apprendiamo di avere non cinque stelle ma 4,7. Subito il pensiero corre: chi sarà quell’infame uberista che mi ha messo 4 stelle o addirittura 3 abbassando la media? Sarà certamente a Los Angeles, quando l’indiano continuava a venire all’indirizzo sbagliato e noi lo si è trattato un po’ freddamente (quando ci ha pure detto “you are drunk!”, con accento tipo Apu dei Simpson, e non lo si era; o forse quando si è chiesto molto civilmente a un altro perché, avendoci avvistati, non ci venisse incontro sotto la pioggia (l’uberista arriva all’indirizzo prefissato, pigia il pulsante delle 4 frecce e poi non si muove neanche in caso di catastrofe nucleare). Si cercano su Google i cahiers de doléances uberisti. Al primo posto nel non gradimento c’è lo sbattere di portiera. Poi, l’inzaccherare il tappetino con le scarpe infangate. E poi, il più ambiguo e inquietante: il cliente che non fa conversazione. “Trattalo come un amico. Staresti muto tutto il tempo se fosse un amico che guida?” scrive un sito di bon ton uberistico. Qui, subito, diverse weltanschauung. Certo, si è stati zitti, a volte. Certo, non lo si è trattato come un amico. Ma non è un amico.
Come riparare, adesso? Un basso punteggio nuoce su vari fronti: intanto, se avete un punteggio basso vi manderanno autisti con un punteggio basso (e se si scende sotto 4,5 non ve ne manderanno proprio più). E poi, soprattutto, è un fatto di autostima. In attesa che Uber organizzi corsi di rieducazione, mille paranoie. Intanto controlliamo ossessivamente i rating degli autisti. Questo ha 4,66, infatti la macchina è zozza. Ci stanno mandando già i peggiori? Ah, siete spietati con noi? Allora ti do tre stelle, vai con la guerra dei poveri. C’è chi invece la prende con filosofia. “Alla fine suona un po’ falso, è vero, però sai, ho 4,6, devo rialzare il punteggio, e all’inizio suona un po’ strano essere molto gentili con loro, però dopo un po’ ti abitui, e in fondo siamo tutti più contenti a essere più gentili”, mi dice un amico californiano saggio. Però una sera torniamo da una cena e lo vedo nervosissimo perché non troviamo l’ascensore e lui corre giù ed è disperato, e quando finalmente trova l’uberista lo tratta come un amico, ma anche oltre, come un fratello o un superiore: “Scusi tanto il ritardo, se non siamo scesi subito ma sa, cercavamo l’ascensore! Questi palazzi moderni! Mi dispiace veramente (il non farsi trovare immediatamente al punto convenuto è un altro tema di abbassamento di punteggio).
L’uberista ha un ghigno di soddisfazione nello specchietto o è solo un riflesso? Comunque, ormai, una vitaccia. Ci si guarda ossessivamente le scarpe, saranno mica infangate? Si chiude dolcissimamente la portiera (ma se troppo piano rimane aperta, conterà anche questo nel punteggio?) Ciò che conta è che la magia ormai è finita, come quando si scopre un tradimento anche di tanti anni fa. Uberista, pensavamo che fossi naturalmente buono. Intanto, leggende metropolitane (speriamo). Per la vasta categoria dei ripetenti, nella quale ci sentiamo nonostante le rassicurazioni (“ma no, 4,7 è un ottimo punteggio, stai tranquillo”), qualcuno sussurra l’impronunciabile: che sarà presto in vigore una legge del 5x5. Allungare un cinque dollari per assicurarsi le cinque stelle. Spunti poi per sociologi: questa società di robot e algoritmi, invece che trasformarci tutti in automi, non ci starà facendo diventare tutti umani, troppo umani? E però forse anche: aridatece il tassinaro becero e analogico, con cui possiamo, ricambiati, comportarci malissimo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano