L'Intelligenza artificiale vista da vicino

Michele Masneri

Nella Silicon Valley è diventata il tormentone del momento. E a guardarla bene non fa troppa paura. Reportage

San Francisco. L’intelligenza artificiale è il tormentone del momento in Silicon Valley e non solo. Tra le centinaia di conferenze, dibattiti, meetup, incontri, uno dei più interessanti della stagione è quello che si è svolto al centro Bespoke di San Francisco, e organizzato dal fondo di venture capital BootstrapLabs, coi protagonisti di molti settori che beneficeranno di questa rivoluzione, Dall’auto alla finanza alla sanità, con manager di Facebook, LinkedIn, Intel, Salesforce, Capgemini, Visa, Intuit e Ford.

 

Una giornata di discussioni divise per argomenti: nel dibattito su “rinascimento dei trasporti”, esperti di automotive e grande distribuzione insieme, proprio mentre l’acquisizione del gigante dei supermercati Whole Foods da parte di Amazon pare pronta a ridefinire il settore, e mentre i marciapiedi di San Francisco sono invasi da piccoli robottini su quattro ruote che sperimentano la consegna delle groceries a domicilio. Jeremy Stanley, vicepresidente data science a Instacart, startup che porta la spesa a casa con un modello sofisticato (tu scegli la tua lista della spesa, ragazzi vanno nei negozi che tu indichi, come dei personal shopper. Secondo Forbes è la compagnia più interessante d’America, è stata fondata da un ex dipendente Amazon) discute di metodi avanzati per rendere il trasporto delle buste della spesa tre volte più rapidi di adesso. Raj Rao, capo di Ford Smart Mobility, ha raccontato di come l’azienda automobilistica ha recentemente acquistato la startup sanfranciscana Chariot, che è una specie di Uber per i pendolari, e organizza vere e proprie autolinee con pullmini solo però su rotte on-demand da parte degli utenti. Anche in questo caso l’intelligenza artificiale permette di immagazzinare dati e “spremerli” per tirarne fuori valore, in quanto “qui le rotte vengono ottimizzate secondo le reali esigenze dei clienti”, dice il manager.

 

Quando si scende nei dettagli, insomma, la famigerata AI non fa molta paura. “Alla fine si tratta solo di una grande semplificazione, di poter processare più dati di quelli che l’uomo è in grado di fare” dice al Foglio Akli Adjaoute, francese, scienziato, figura di spicco nelle scienze cognitive, e anche fondatore e ceo di Brighterion, azienda californiana che si occupa di sicurezza e controllo preventivo sulle frodi, per molte aziende e anche per governi di mezzo mondo. “L’intelligenza artificiale c’è da sempre, in realtà. Negli anni sessanta si chiamava Lapa, il primo algoritmo per il cosiddetto deep learning che nacque nel 1965 grazie a uno scienziato russo. Oggi però l’intelligenza artificiale è più accettabile, e d’altra parte abbiamo computer più potenti, e più dati sulle persone grazie ai social media”. Fine della privacy, dunque. “Certo, questo è ovvio, vendono te come prodotto, in Europa è più sicuro, avete sistemi più sicuri, ma in America sanno tutto di tutti, basta conoscere il codice della social security card”. “La mancanza di privacy è la base degli Stati Uniti”.

 

Jean Baptiste Su, analista e reporter tecnologico di Forbes, ci dice che in fondo tutta questa intelligenza artificiale è una moda, è il modo nuovo di chiamare qualcosa che già c’era. “Il riconoscimento vocale Ibm lo usa da trent’anni” dice al Foglio. “Ma nessuno lo chiamava AI, il pilota automatico sugli aerei c’è da quindici anni e ora sull’A380 di Airbus fa da solo anche atterraggio e decollo, nessuno pensa che sia pericoloso, dipende dalla percezione”. E anche il futuro procede a piccoli passi, “anche l’auto senza conducente in arrivo, certo, però non è che sia un lavoro molto complesso guidare”. La differenza sostanziale con l’umano è che una macchina può essere bravissima a pesare la frutta, ma non sa fare di conto. E Adjaoute conclude: “Facebook ha appena annunciato che assumerà tremila persone per contrastare le fake news. Tremila persone a controllare video e post, che si aggiungono alle quattromila che già lavorano nel settore. Totale settemila. Se hanno bisogno di settemila umani è segno che l’intelligenza artificiale ha ancora molto bisogno di noi esseri viventi”.