Niente algoritmi, facciamo arte. Perché Apple Music sceglie il “tocco umano”

Eugenio Cau
Ecco la sfida alle macchine del servizio streaming e di selezione automatica delle canzoni dell'azienda di Cupertino.

Roma. “Provate a immaginare”. State ascoltando una playlist “durante un vostro momento speciale. State facendo esercizio o… siete nel mezzo di qualche altro momento speciale (la platea ride). State pompando di brutto, poi cambia canzone nella playlist: naaaaaaaa! Doccia fredda. Vi chiedete perché questo succede. Succede perché la canzone è programmata da un algoritmo”. Per Jimmy Iovine, che lunedì ha presentato alla conferenza Wwdc di San Francisco il nuovo servizio di streaming di Apple, Apple Music, il vero nemico dell’ascoltatore di musica sono gli algoritmi. Iovine ha descritto Apple Music come “servizio musicale rivoluzionario”, che “cambierà per sempre il nostro modo di fare esperienza della musica”. E la ragione principale, ha detto, è che su Apple Music sono gli uomini a scegliere le playlist, non le macchine.

 

“La domanda più tipica nella musica, quando ascoltate una playlist, è: quale canzone viene dopo?”, ha detto Iovine. “L’unica canzone importante quanto quella che state ascoltando è quella che viene dopo”. Su Apple Music a scegliere questa canzone non sono degli algoritmi che rovinano l’atmosfera quando siete sul più bello: “Gli algoritmi da soli non possono fare questo lavoro così emozionale”, ha detto Iovine. “C’è bisogno di un tocco umano, ed è per questo che Apple Music vi dà la giusta canzone e la giusta playlist nel momento perfetto”. Così Iovine, produttore leggendario che ha lavorato con artisti come John Lennon e Bruce Springsteen, e che oggi è manager di Apple, ha dichiarato guerra a nome dell’azienda alla dittatura dell’algoritmo. E’ questa la strategia che Apple ha scelto per cercare di sfondare in un mercato, quello della musica via streaming, già piuttosto affollato. Al contrario di concorrenti come Spotify, freddi esecutori degli ordini degli algoritmi, le playlist di Apple Music sono in gran parte scelte, raccolte a mano. La parola inglese che designa l’atto, hand-pick, ricorda la genuinità della raccolta delle ciliegie in primavera, e nella tecnologia è diventata un brand.

 

[**Video_box_2**]L’efficienza automatica degli algoritmi contro il tocco umano dell’“hand-picked”, la capacità di imparare delle macchine contro l’esperienza degli uomini: nel mondo di internet, dominato dai servizi, è difficile sfuggire a questo binomio. Le notizie online, i consigli per gli acquisti sui siti di e-commerce, le pubblicità, l’ordine dei post sui social network possono essere selezionati da un algoritmo o a mano, e questo cambia l’esperienza degli utenti e l’impostazione delle compagnie. Google è sempre stata orgogliosa dei suoi algoritmi sofisticati, l’affidamento a processi automatici è così avanzato che uno dei suoi progetti è l’automobile che si guida da sola. Apple non è da meno, alla stessa conferenza Wwdc ha elogiato gli algoritmi che lavorano dentro ai suoi nuovi sistemi operativi, ma con Music ha deciso di cambiare strategia. Arte e algoritmo non stanno bene insieme, e così Apple ha scelto Iovine, rappresentante massimo del mondo della discografia ancora frastornato dall’avvento di internet e del download digitale (“il grande invasore che viene dal nord”, ha detto) per dire che la musica è un prodotto artigianale, da maneggiare con cura e lasciare agli esperti. Da parte di Apple è un espediente per differenziarsi dalla concorrenza (il “servizio rivoluzionario”, dicono i critici, non è poi così rivoluzionario), ma è anche un ritorno alla vocazione originaria. In un discorso celebre e bellissimo del 2011, Steve Jobs disse: “E’ nel dna di Apple il fatto che la tecnologia da sola non è abbastanza, che la tecnologia deve unirsi alle arti liberali per far risuonare il cuore”. Jobs era convinto che fosse questo il segreto di Apple, e non c’è campo migliore della musica (è dall’iPod che tutto è iniziato) per metterlo in pratica. A 9 dollari e 99 al mese.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.