Cambiare vita? Basta una playlist per rintracciarti
Nel dicembre del 2014 Brittany Nunn è in causa con l’ex marito per la custodia di una delle loro due figlie. Il processo, racconta Jacob Bogage sul Washington Post, non stava andando bene per Brittany, e la donna decide di saltare l’udienza fissata per l’inizio del mese, prendere le due figlie e scappare dal Colorado dove le bambine vivono. Nunn e il suo nuovo marito, Peter Barr, fuggono in Messico, si stabiliscono a Cabo San Lucas, porto delizioso della Bassa California del sud, e restano al riparo dalle forze dell’ordine per alcuni mesi. Poi la polizia del Colorado li rintraccia, nel giugno di quest’anno le autorità messicane deportano la famiglia indietro in America, le bambine si riuniscono con il padre. La polizia non ha trovato Nunn grazie a indagini approfondite, tecniche poliziesche o intelligence. La donna si è tradita a causa di Spotify.
Il percorso è relativamente semplice, ed è quasi un caso da manuale. Qualcuno ha notato attività sull’account di Spotify di Nunn (che ha alcune funzioni di interazione sociale, di cui i contatti condivisi possono essere notificati), e ha avvertito l’investigatore Drew Webber di Larimer County, Colorado. Webber non aveva mai sentito parlare di Spotify prima di allora, ma si deve essere fatto spiegare da qualche collega più esperto, e si è fatto introdurre al concetto di “digital footprint”, cioè della traccia digitale che chiunque usi internet lascia in giro, spesso senza accorgersene. Webber ha richiesto i dati di Nunn a Spotify, e ha inviato dei mandati d’ispezione a dodici altri social e siti usati dalla donna. Ha raccolto le informazioni ed è arrivato a un indirizzo Ip di Cabo San Lucas, quello dell’abitazione in cui Nunn passava il tempo ad ascoltare musica in streaming e a guardare serie tv, senza sapere che un atto così banale (in un paese straniero, con una connessione a internet e un provider differenti) l’avrebbe incastrata.
Nunn ha commesso un errore ovvio, ha continuato a usare gli account di Spotify e dei servizi digitali aperti in America, lasciando così intatto un collegamento evidente tra la sua nuova vita e la vecchia, ma se chi si occupa di sicurezza sa che per sparire dalla circolazione l’unico modo è cancellare la propria vita digitale, una ragazza del Colorado (come un professionista di Monza, o un pensionato di Istanbul) può non avere la stessa accortezza, e questo è un segnale evidente della “asimmetria delle informazioni”, così la definisce il Washington Post, che si sta creando su internet. Il fatto è che spesso gli utenti non hanno idea della quantità di informazioni su se stessi che lasciano ogni giorno su internet, e di quanto sia facile (nel caso del Colorado per la polizia, in casi meno fortunati per i malintenzionati) recuperarle e farne uso.
[**Video_box_2**]Il problema è che anche chi ha provato a cancellare la propria vita digitale e a sparire nel nulla ha sempre fallito. Un caso famoso è quello di Evan Ratliff, giornalista di Wired e del New Yorker, che decise di sparire dalla circolazione per un mese e offrì 5.000 dollari a chiunque fosse stato in grado di ritrovarlo. Gruppi di utenti usarono la rete e i social media per le ricerche, impiegarono 23 giorni, e nonostante tutte le precauzioni adottate da Ratliff alla fine lo rintracciarono.
Così, e non solo per le madri che vogliono portar via le figlie dall’ex marito, il mito romantico del fuggire senza lasciare traccia, del cambiare vita, trasferirsi in Messico o in un porticciolo tropicale, viene ucciso quasi automaticamente con un semplice atto di iscrizione a Spotify, a Facebook o agli altri social. Le playlist ti inseguono per sempre, e purtroppo la fuga non è un’opzione.