Twitter, Facebook e gli altri. Fino a che punto può spingersi la trasparenza nei social network

Giovanni Battistuzzi
I casi di cancellazione di tweet e post sono aumentati nell’ultimo anno. Tra la sempre maggiore attenzione degli stati nei confronti del traffico social e la debolezza di questi nell’opporsi a ciò, c'è dell'altro. Censura e normale rispetto delle policy nel web.

L’omicidio in diretta di due giornalisti in Virginia, il cameraman che si accascia al suolo portando con se la telecamera accesa, la sua controparte, la prospettiva dell’assassino, pistola impugnata come all’interno di uno sparatutto, di un Doom reale pubblicato su Twitter e Facebook da Bryce Williams, al secolo Vester Lee Flanagan. E poi la decisione quasi immediata dei social network di oscurare il profilo, ma abbastanza in ritardo da permettere a migliaia di utenti di vedere i proiettili partire e gli assassinati cadere. Tutto questo ha riproposto il solito dilemma, il contrapporsi tra chi considera giusto il blocco e chi invece parla di censura in quanto le due aziende hanno impedito al pubblico la possibilità di accedere in tempo reale a informazioni pertinenti riguardo a una notizia, come scrive Justin Peters su Slate. Un discussione che probabilmente ritornerà ad animare il dibattito sulla trasparenza dei social network, sulla loro capacità di fare eco a un avvenimento o di poterne azzerare la portata grazie a una decisione unilaterale, a ogni nuovo accadimento, perché se questo è stato il primo caso, non si può escludere che ce ne saranno altri analoghi.

 

Utilizzare però il caso Bryce Williams, per quanto emotivamente rilevante, per analizzare lo stato del controllo dei social network sulla libertà di espressione e quindi sulla possibilità di utilizzare censura rispetto a notizie e informazioni che provengono dagli utenti è fuorviante ed erroneo. Si tratta di un avvenimento limite nel quale si scontrano il diritto dei parenti delle vittime a un trattamento dignitoso della perdita dei congiunti e quello di cronaca, qualcosa di simile ai video pubblicati dallo Stato islamico, dove il discrimine è etico ed è difficile arrivare a una conclusione unica e bilanciata tra le varie componenti in gioco.

 

Se la questione è di difficile trattamento l’avvicinare questo avvenimento al concetto di censura è invece formalmente sbagliato. Nel caso del duplice omicidio in Virginia infatti non c’è stata probabilmente intromissione di alcuna autorità. Troppo veloce è stata la decisione dei due social network – che comunque non hanno rilasciato dichiarazioni per giustificare il loro comportamento – di oscurare i contenuti per poter pensare a un intervento dall’alto; troppo espliciti i contenuti del video per poter pensare che Twitter e Facebook non applicassero la cosiddetta tagliola per infrazione alle linee di condotta comportamentali. Queste policy sono accettate dagli utenti al momento dell’iscrizione indipendentemente dalla lettura attenta delle stesse, quindi parlare di censura è insensato: l’infrazione c’è stata, è evidente, e i contenuti andavano rimossi.

 

Se in questo caso è prevalso (forse) il buonsenso e la risposta veloce (ma nemmeno troppo) delle due aziende, i casi di censura nel mondo non sono avvenimenti rari e il loro peso non è marginale. Secondo un recente studio del Global Voices Advocacy i casi di cancellazione di tweet e post sono aumentati nell’ultimo anno del 29 per cento. Un dato significativo che secondo il report mette in evidenzia la sempre maggiore attenzione degli stati nei confronti del traffico social per evitare la diffusione di messaggi controproducenti al mantenimento dell’ordine pubblico e la debolezza dei maggiori social network nell’opporsi a ciò.

 

Analizzando i dati si può notare che l’eliminazione di post di Facebook è rimasta pressoché invariata rispetto agli anni scorsi (l’aumento segna nemmeno cinque punti percentuali), la censura è ricaduta soprattutto su Twitter. Uno studio di Statistica (statistica.com) ha messo in evidenza come nel 2015 sia stato soprattutto il governo turco a richiedere e ottenere una massiccia cancellazione di cinguettii. Nei primi sei mesi dell’anno delle oltre mille cancellazioni di profili ben il 72 per cento è arrivato dalle istituzioni di Ankara. Il secondo paese per accettazione di richieste è la Russia, 7 per cento, il primo paese europeo la Francia, con il tre per cento del totale.

 



 

[**Video_box_2**]Se a questo si aggiunge che Twitter ha bloccato l’accesso ai suoi archivi ad organizzazioni come Politwoops e Diplotwoops, che archiviavano i Tweet “cancellati” dei politici è facile per gli esaltatori della trasparenza a ogni costo l’idea di un grande pericolo per la libertà di espressione. Va però ricordata una cosa agli allarmisti e agli allarmati, una cosa che non può essere trascurata o passata sotto silenzio: Twitter e Facebook sono società private e, sulla base del contratto di utilizzo dei propri servizi hanno piena facoltà di cancellare qualsiasi contenuto in maniera più o meno discrezionale e non hanno alcun obbligo istituzionale o legale di trasparenza o dovere di informazione. Per cui prima di urlare “censura!”, sarebbe necessario tornare a ragionare sul mezzo che si sta usando per esprimersi.

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