Il “non mi piace” di Facebook genera mostri. Un incubo verosimile
Lo scorso weekend mia moglie, avendo dimenticato il suo cellulare in un hotel all’estero e in attesa di rientrarne in possesso, ha deciso di riattivare il profilo di Facebook che aveva “spento” da un anno circa così da avere a disposizione almeno un servizio di messaggistica istantanea. Per me è stato divertente e anche per lei: abbiamo condiviso un po’ di foto approfittando di un paio di giorni di svago con altri amici, ci siamo taggati tra di noi e via dicendo. La prima cosa che mia moglie ha fatto, appena rientrata in possesso del cellulare, il lunedì, è stato disattivare di nuovo il suo account, col risultato anche un po' inquietante che tutte le foto di cui sopra sono scomparse. “Sembra che tutti parlino continuamente male di tutti”, mi ha detto.
Ho pensato fosse un’esagerazione e avrei potuto restare di quest’idea, se non avessi letto, subito dopo, del signor Zuckerberg, nostro padrone e signore, demonio, demiurgo di desideri che non abbiamo ancora desiderato, eccetera, che annunciava l’introduzione su Facebook di una specie di tasto “non mi piace” e allora mi sono detto: ehi, se ogni offerta parte da una domanda, da uno studio di mercato, la domanda, in questo caso, quale mai sarà, se non la possibilità per l’appunto di esprimere liberamente dissenso in modo sempre più rapido, indolore e impunito? Riflettete per un momento sulle infinite possibilità della cosa: lo status particolarmente riuscito del vostro nemico numero uno sta collezionando troppo gradimento? Ora potrete opporvi! Potrete chiamare a raccolta segretamente accoliti del vostro Impero e direzionarli col fine ultimo di accerchiare il rivale: i “dislike” che cacciano i “like” dal tempio. Vi rendete conto? Subissare di pollicioni versi l’ultimo video di Fedez, fare a gara con le ragazzine infoiate e semmai sorpassarle in surplus! Non più limitarvi ad architettare commenti violentissimi e pieni di odio nei confronti dell’ultimo romanzo di successo di uno scrittore che non siete voi, ma addirittura andare direttamente alla fonte e subissarlo di “mi fa schifo”! Pollicioni versi come se piovesse per l’ultima uscita del politico all’opposizione, così da sentirvi alla stregua dei padri fondatori che “fecero” l’Italia a suon di moschetti. Pollicioni versi come macigni, perché se il commento negativo, fino alla stroncatura argomentata, si può prestare a una cosa terribile e angosciante come la replica, se non la censura, un pollicione verso è un pollicione verso: cioè, è inattaccabile, incontrovertibile. Resterà, come i disegni dei primitivi nelle caverne, come le piramidi, e cullando i vostri nipoti sulle ginocchia potrete mostrarglieli e dire loro ecco, quello è il pollicione verso di nonno. Bisognerà stare tutti più attenti: il pollicione verso è come il cric che si può nascondere in auto, il pollicione verso è cassazione. Pollicioni versi ci attendono al varco delle nostre smargiassate pubbliche: attenzione a paventare coiti leggendari perché la controparte, se per caso avesse della cosa un’opinione diversa, da adesso disporrà di un’arma in più, anche peggiore della delazione.
Mi immagino il pollicione verso avanzare gommoso verso la nostra libertà, come la biblica tetta stillante latte di “Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul sesso” di Woody Allen, che il protagonista decideva di affrontare con un crocifisso puntato mentre quella, be’, cercava di ucciderlo, e mi domando se non faccia bene mia moglie, a restarne fuori. In attesa del tasto “‘Sti cazzi”, urge quello “Aiuto!”