Mia moglie? è un bel robot
Non mi fido di organi in movimento che non siano i miei. Lo dice Woody Allen nel “Dormiglione”, film del 1973, quando Diane Keaton, la poetessa Luna, gli propone di “praticare sesso” nella macchina del futuro. Siamo nel 2173, e Luna spiega: “Il sesso è diverso oggi, vedi… noi non abbiamo nessun problema: tutti sono frigidi”. Il sesso con i robot oggi è molto più articolato. Non serve nemmeno entrare nell’orgasmatic del “Dormiglione”: il dibattito si perde nella notte dei tempi. Un fogliante – di cui non farò il nome – mi ha segnalato un libro del 1998 della scrittrice spagnola Pilar Pedraza, “Máquinas de amar. Secretos del Cuerpo Artificial”, nel quale si investiga sul rapporto tra “il corpo biologico” e la macchina antropomorfa. Scrive Pedraza che quello è un sogno antico dell’uomo, basti guardare alla storia del cinema, piena di personaggi fatti di carne e metallo – da Edward mani di forbice a Freddy Kruger, passando per Terminator, Robocop e gli androidi di Blade Runner. Il regista inglese Chris Cunningham nel 1999 ha girato il video del brano “All is full of love” di Bjork che ha vinto numerosi premi. Protagonisti del clip sono due robot femmine, dalle sembianze della stessa Bjork, che fanno l’amore. Per non parlare del più recente “Her” di Spike Jones, dove la fisicità della macchina è sostituita completamente dall’interazione con un sistema operativo intelligente.
Ma l’esigenza di fisicità, che vada oltre la più immediata risposta del cuore, si vede meglio nella puntata “Torna da me” della serie inglese “Black Mirror”: una società permette di ricostruire la personalità del defunto fidanzato della protagonista attraverso la sua vita online: social network, email, dati e frasi lasciati a caso su internet. Poi, con un costo aggiuntivo, si può comprare un clone, un corpo fatto di carne sintetica nel quale si può caricare il programma. Seguendo il filo della scrittrice Pedraza, però, la sceneggiatura di “Black Mirror” non è realistica: “Un uomo può amare una bambola, ma una donna no, se non in casi estremi come quelli di Protesilao e Laodamia. Non c’è bisogno”. E infatti il mito greco racconta che Laodamia, figlia di Acasto, quando il marito Protesilao morì, chiese agli dèi che le fosse permesso di parlare con lui per tre ore. Scaduto il tempo, presa dalla disperazione, fece costruire una statua di bronzo con le sembianze del marito da portarsi nella stanza nuziale. Il transfer sulla statua creò non pochi problemi, e alla fine Laodamia fu accusata di adulterio e si uccise.
Tornando ai giorni nostri, Mashable qualche mese fa dava conto dell’invenzione del (cito testuale) “culo robotico”: un vero e proprio didietro di plastica, appiccicato a uno schermo. Patrick è il suo nome, ed è stato inventato da alcuni ricercatori dell’Università della Florida, del Wisconsin e della Drexel per aiutare i giovani specializzandi medici a fare pratica negli esami proctologici, senza dar fastidio a nessuno. Per non parlare dell’arte: lo scultore inglese Allen Jones fu tra i primi a ritrarre la fornofilia, quell’attività sessuale per cui il soggetto sessuale si traveste da oggetto. Per intenderci, le sculture che si trovano nel Korova Milk Bar di “Arancia Meccanica”. Mi spiega Sofia Silva che pure Marcel Duchamp, in realtà, aveva trovato nella macchina l’oggetto sessuale: dietro il complicato significato de “il Grande Vetro” si celerebbe una metafora del sesso robotico secondo le prime dichiarazioni che fece lo stesso Duchamp negli anni 20 (le “macchine” rappresentate in basso che inseminano la macchina femmina che è in alto). E poi ci sono le macchine a stantuffo dell’artista francese Francis Picabia (e la Silva me ne mostra una, che si chiama “Elle”, e rappresenta una specie di robot femmina intenta in attività illecite). Perfino le sfilate di moda adesso si riempiono di cyborg: qualche settimana fa Philipp Plein ha messo in passerella Curtney Love, un esercito di modelle e qualche robot. Ma già nel 2009 l’Istituto nazionale avanzato per la scienza e tecnologia (AIST) di Tokyo aveva confezionato una modella completamente robotica, corrispondente ai desiderata degli stilisti. L’istituto giapponese, insieme con la Kawada Industries, da anni si occupa del programma finanziato dal governo che si chiama Humanoid Robotics project, per lo sviluppo di robot per “l’aiuto domestico”.
Anche Pepper è un robot. Un umanoide, si legge sul sito dell’azienda che lo produce, la giapponese SoftBank. E’ stato progettato per vivere con gli umani: “Potrebbe deludervi, ma Pepper non pulisce, non cucina e non ha i super poteri… E’ un robot sociale che è in grado di conversare con te, riconoscerti e reagire alle tue emozioni, di muoversi e vivere in autonomia”. Esteticamente, Pepper ricorda un po’ il robot di “Big Hero-6”, il film della Pixar. E’ alto un metro e venti centimetri per ventotto chili di peso, è completamente bianco, ha una testa, due braccia, un paio occhi, si muove su un tre piedi sinuoso come quello di una sirena. Niente seno né pettorali: ha uno schermo piatto sul davanti. Una batteria con quattordici ore di autonomia. Ma l’aspetto più rivoluzionario di Pepper, dice SoftBank, è l’interazione. Per questo sono ormai moltissimi i robot utilizzati in Giappone per i servizi di relazione con il pubblico (ci sono umanoidi alle reception degli hotel e ad accogliervi nei negozi). I robot sono versatili, tranne che su un punto.
Qualche giorno fa il contratto di vendita del giocattolino di SoftBank è finito sui giornali, perché una delle clausole di utilizzo per gli acquirenti proibisce categoricamente “qualsiasi atto sessuale o altri comportamenti indecenti” con il robot. Non si fa sesso con Pepper, dice chi l’ha costruito. Possibile che tra tutti i servizi offerti, manchi solo quello che sarebbe, senza dubbio, il più richiesto al mondo? Secondo l’ultimo report del famoso futurologo britannico Ian Pearson entro i prossimi cinquant’anni gli umani faranno più sesso con i robot che con altri umani. Pearson, che ha studiato dettagliatamente il futuro della sessualità umana per conto dell’inglese Bondara, uno dei più grandi negozi online di porno – dice che i primi robot inizieranno a sostituirsi ai partner in carne e ossa già tra una decina d’anni. Tra quindici, vent’anni, non solo i giocattoli del sesso interagiranno in qualche modo con la realtà virtuale, ma la maggior parte delle persone avrà sesso virtuale al posto del classico porno online (non è ben chiaro come).
Il sesso con i robot non è un tabù. Perfino nel sondaggio online del Telegraph, il 68 per cento delle persone si ritengono interessate al sesso con i robot (solo il 32 per cento ne è disgustato). “L’uso delle bambole sessuali ha avuto un gigantesco balzo in avanti sul finire degli anni Novanta”, scriveva Julie Beck sull’Atlantic in un lungo articolo sui giocattoli sessuali, “quando l’artista Matt McMullen (realdoll.com) ha iniziato a lavorare su un manichino in silicone molto realistico e a documentare i suoi progressi sul suo sito. Dopo poco ha iniziato a ricevere email in cui gli utenti chiedevano se il manichino fosse…
anatomicamente corretto. A quel tempo non lo era. Ma la domanda era lì, e così McMullen ha fornito l’offerta”. Oggi McMullen è a capo di un business milionario di bambole antropomorfe costruite (quasi) esclusivamente per il sesso, ed è una specie di guru dell’evoluzione delle bambole gonfiabili. I robot per il sesso, i sexbot, che secondo l’esperto di intelligenza artificiale David Levy, entro mezzo secolo “saranno in grado di innamorarsi delle persone e di essere romanticamente attraenti e sessualmente desiderabili per gli umani”. Proprio come in “La fabbrica delle mogli” di Ira Levin. Isaac Asimov al servizio del vizio.
Tra quelli che vengono definiti oggi robot del sesso, il più venduto è certamente AutoBlow 2. Il suo inventore, Brian Sloan, ha raccolto su internet più di un milione di dollari in un anno partendo da una semplice considerazione: non sarebbe bello avere una macchina per ricevere del sesso orale? Ha lasciato il suo lavoro d’avvocato di Chicago per trasferirsi in Cina e creare il suo robot per il sesso maschile. C’è un sito – che però spedisce gli ordini da Londra – dove si spiega quali vantaggi dà AutoBlow 2: funziona elettricamente, senza batterie, ha tre guaine diverse e lavabili, e soprattutto funziona senza l’aiuto delle mani. Il motore assicura cinquecento ore di uso, e il video illustrativo spiega che con 159 dollari di spesa non bisogna più rischiare di andare in bianco dopo aver offerto cene e gelati (ieri c’era un’offerta speciale, uno sconto del venti per cento per incentivare la “salute dei polsi”).
Ma non si può parlare fornicazioni robotiche senza citare “il primo vero robot del sesso al mondo”, quello creato dall’ingegnere Douglas Hines del New Jersey, fondatore dell’azienda americana TrueCompanion.com. La sua creatura si chiama Roxxxy, ed è “sempre accesa e pronta per parlare e giocare”. In realtà di Roxxxy ne esistono varie versioni: c’è quella “cuscino” – primo prezzo, meno di mille dollari – senza braccia né gambe: potete facilmente immaginare il perché del nome. C’è la Roxxy Silver, priva di alcuni gadget, e poi c’è la Roxxxy Gold, settemila dollari di prezzo iniziale. E’ alta un metro e settanta, pesa 54 chili, secondo la pubblicità Roxxxy è in grado di interagire come un’intelligenza artificiale (Hines è uno specialista nel settore) ma è anche in grado di raggiungere “un orgasmo” perché dotata di un sistema di liquidi interni che regolano la temperatura e simulano la circolazione sanguigna. Naturalmente si ordina scegliendo ogni tipo di preferenza fisica, ma il passo tecnologico successivo fatto dalla TrueCompanion di Hines – che ha presentato il suo prodotto nel 2010 a Los Angeles – è che Roxxxy ha una personalità. Anzi, ne ha cinque. A seconda del momento, si può scegliere di intrattenersi con Frigid Farrah (riservata e vergognosa), Wild Wendy, più spregiudicata, S&M Susan, che sa come far divertire un uomo, Young Yoko, asiatica appena maggiorenne, e infine Mature Martha, per i momenti con una robot d’esperienza. Cinque personalità che possono essere modificate, scambiate e caricate online con un abbonamento mensile. Parla inglese, ma all’occorrenza si può scaricare il vocabolario in spagnolo, tedesco e giapponese. Su YouTube, poi, è pieno di video di Douglas Hines che mostra cosa fare con la vostra robot, ma non spiega almeno un paio di punti: quando la spengo, dove la tengo? Va bene nello sgabuzzino? O devo metterla a letto? E inoltre: se becco mio marito a letto con Wild Wendy, o peggio, con Young Yoko, è tradimento?
[**Video_box_2**]A questo punto, una discussione etica è necessaria. Ne è convinta Kathleen Richardson, senior fellow di Etica della robotica alla De Montfort University di Leicester, in Inghilterra. Insieme con Erik Billing dell’Università di Skövde in Svezia, Richardson ha presentato all’inizio di settembre una campagna “contro il sesso con i robot” con tanto di sito web per la sensibilizzazione sul tema (campaignagainstsexrobots.wordpress.com). I partner androidi, “che possono avere le sembianze di donne o di bambini”, sono potenzialmente dannosi e “contribuiranno alle disuguaglianze nella società”. Nello studio di Richardson e co. si fa riferimento a tutti gli argomenti che, cinquant’anni fa, venivano usati contro i giocattoli sessuali e le bambole gonfiabili: “Lo sviluppo dei robot del sesso ridurrà ulteriormente l’empatia umana, che può essere sviluppata soltanto da un’esperienza di relazione reciproca”. E non c’è da stupirsi se un umanoide come Pepper – che non è nato per il sesso, ma risponde a quelle caratteristiche di interazione che ancora mancano alle bambole gonfiabili – sia nato proprio in Giappone. La società nipponica affronta da qualche decennio un problema serio: la solitudine. La popolazione è in declino, e sempre più persone invecchiano – e muoiono – da sole. Senza sposarsi, senza compagni né amici. Chiunque non faccia parte del rigido modello sociale in cui l’uomo lavora, la moglie accudisce la casa e (forse, sempre più di rado) fa un figlio, è emarginato. Un vecchio reportage pubblicato dal quotidiano Asahi nel 2011 raccoglieva una serie di studi sulla “società della solitudine”, e il risultato era sempre lo stesso: gli uomini giapponesi sono incapaci di comunicare. E così la sessualità, nel tempo, si è trasformata. Come i rapporti di coppia. In Giappone è possibile affittare una fidanzata senza alcuno scopo sessuale, ma solo per “simulare una relazione” (580 dollari per 12 ore). E’ possibile affittare un uomo maturo per ricevere dei consigli sulla vita (ossanrental.thebase.in), affittare qualcuno con cui dormire (80 dollari l’ora). Tutto allo scopo di lenire le sofferenze della solitudine. La clausola nel contratto di vendita di Pepper, fornita da SoftBank, ha le sue ragioni: nel paese dove la robotica è arrivata pressoché ovunque, i robot arriveranno presto anche nelle stanze da letto dei giapponesi.
Mario Perniola, che è professore di Estetica all’Università di Tor Vergata di Roma, nel 1994 ha scritto un saggio piuttosto noto, “Il sex appeal dell’inorganico”, sul “passaggio da una sessualità organica, orgastica, fondata sulla differenza dei sessi, guidata dal desiderio e dal piacere, a una sessualità neutra, inorganica, artificiale, sospesa in una eccitazione astratta e infinita, sempre disponibile e priva di riguardo nei confronti della bellezza, dell’età e in genere delle forme”. Gli chiediamo cosa ne pensi lui, del caso di Pepper: “Faccio l’ipotesi che la clausola sia stata inserita su suggerimento del governo, a causa del calo delle nascite e dell’invecchiamento della popolazione: in Cina mi sembra di aver letto che si vada in una direzione contraria (a causa del fatto che sono molti più uomini che donne)”. E’ vero: il controllo delle nascite in Cina, la legge del figlio unico (meglio se maschio) ha aumentato di gran lunga la popolazione maschile rispetto a quella femminile, per cui oggi ogni 120 ragazzi ci sono solo cento possibili fidanzate. Una specie di bomba al testosterone pronta a esplodere. “Il mio libro”, prosegue Perniola “tratta di un’esperienza tra esseri umani come se fossero dei robot, il che fa una bella differenza! E, particolare essenziale: bisogna essere in due a sentirsi cose, non uno solo. Altrimenti sarebbe una banale sottomissione sessuale”. Forse è il caso che della questione si parli pure al Sinodo sulla famiglia. Forse.