Così gli algoritmi ruberanno il lavoro ai giornalisti poco intelligenti
Milano. Dove si trova l’Italia? Tra il Brasile e la Russia, proprio lì, vicino all’Argentina. Non si tratta ovviamente delle coordinate geografiche, ma della posizione nella “cartina di internet”, quella che segnala il tasso di penetrazione dell’uso della rete. In Italia siamo fermi al 60 per cento, poco dietro a Libano e Argentina, al 62, davanti al 50 di Brasile ed Egitto, ma molto lontani dalle vette di altri paesi europei, Cile, Russia e Usa, 73-86 per cento. Sono i risultati esposti da Lee Rainie – direttore dell’Internet, science and technology research del Pew Research Center, uno dei più importanti istituti di ricerche e sondaggi degli Stati Uniti – allo State of the Net, conferenza sullo stato di internet da poco conclusa a Milano che aveva come filo rosso dei suoi dibattiti il ruolo degli algoritmi.
“Per l’uso di internet l’Italia si trova a metà della classifica rispetto al resto del mondo – conferma Rainie al Foglio – ma è molto elevato l’uso di smartphone e social network. In genere la diffusione di internet dipende da differenze socio-economiche più che da differenze culturali: usa di più internet chi è ricco, più istruito, più giovane e chi conosce l’inglese. E questo vale in genere per tutti i paesi del mondo”. Internet non è più la stessa cosa di dieci o venti anni fa, ha subito diverse evoluzioni, l’ultima delle quali è l’estensione al mondo reale, “l’Internet delle cose”, ovvero la possibilità di mettere in connessione oggetti a cui cedere (o da cui ricavare) informazioni per farli comunicare in maniera intelligente. L’enorme cambiamento del modo in cui cediamo e otteniamo informazioni non poteva che rivoluzionare l’informazione, ovvero il mondo delle notizie e della comunicazione: “La differenza principale rispetto ai nostri genitori – dice Rainie – è che loro dovevano faticare molto per sapere cosa stava succedendo, adesso puoi sapere tutto quando vuoi. E’ un grande cambiamento perché prima erano i media a stabilire quando si davano le informazioni: i giornali al mattino, i telegiornali la sera. Ora invece le persone scelgono come e quando avere informazioni in base alle proprie esigenze”.
[**Video_box_2**]I giornali hanno dovuto ripensare il proprio ruolo e cambiare modello di business: “E’ un ambiente molto più difficile per i giornali, hanno dovuto spostare la propria attività sul digitale e ripensare completamente al modo per fare ricavi, perché l’informazione è spesso gratuita e con la pubblicità si guadagna sempre di meno”. Come si fa allora? “Un modo è attirare l’attenzione dei lettori con cose che piacciono ma di scarso valore attraverso il ‘click bait’ (sono le ‘esche da click’, come titoli esasperati, tette e gattini ndr), l’altro è farsi pagare per contenuti di alto valore aggiunto, cosa però molto difficile perché bisogna lavorare un sacco per fare le cose meglio di ciò che si trova gratis. La soluzione può essere quindi un bilanciamento: offrire cose che piacciono ma poco rilevanti insieme a cose molto importanti che però non suscitano molto interesse. Si tratta di dare ai lettori caramelle con il clickbaiting e broccoli con storie importanti ma poco attraenti”, spiega Rainie. Sono cambiati i lettori, sono cambiati i giornali, non potevano rimanere uguali i giornalisti: “Prima scrivevamo una notizia che usciva il giorno dopo – dice Lee Rainie, che nella sue carriera precedente ha fatto il giornalista – oggi quando pubblichi qualcosa sai che non è la fine del tuo lavoro, ma solo l’inizio: devi diffonderla sui social network, aggiornarla, spiegare ai lettori perché l’hai scritta in quel modo”. E anche il rapporto con i lettori è cambiato radicalmente: “Prima era difficile sapere chi erano i tuoi, cosa pensavano di te e se leggevano i tuoi articoli. Adesso sai tutto: chi ti ama e chi ti odia, conosci spesso i loro nomi e volti, sai quanti ti leggono e spesso si instaura un rapporto di co-creazione che prima era impossibile. In cambio però i lettori chiedono al giornalista spiegazioni e massima trasparenza, un po’ come con le istituzioni”. E come se non bastasse i giornalisti si devono guardare anche dalla concorrenza dei computer e dall’arrivo di algoritmi capaci di scrivere articoli al posto loro: “Sta già succedendo, ci sono algoritmi che coprono eventi sportivi con articoli indistinguibili da quelli scritti da una persona. I giornalisti dovranno imparare ad aggiungere valore alle macchine, a essere complementari con quello che la tecnologia riesce a fare meglio: l’attività umana si basa sull’intelligenza e anche le macchine che creiamo lo diventano sempre di più, dobbiamo solo diventare più intelligenti di loro”.