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Minority Report

L'algoritmo che prevede i nostri comportamenti e l'imprevedibilità di certi gesti che cambiano la storia

Giovanni Maddalena

Ci piacerebbe che ci fosse una macchina in grado di predirci il futuro. Ma allo stesso tempo questa possibilità ci spaventa. Come rispondere a domande tipo, che cosa scriveremmo sui giornali, di che cosa parleremmo al bar, e – soprattutto – come impiegheremmo tutto il tempo che ora perdiamo a pensare, ripensare, creare, costruire, disfare le nostre relazioni umane?

E’ vero che c'è un programma per computer che sa predire i nostri comportamenti? Al MIT sembra che l'abbiano trovato. Il software ha capito prima dei team di esperti che uno studente avrebbe mollato lo studio di un esame. La macchina, infatti, sfrutta un algoritmo che è in grado di calcolare quali saranno alla lunga i fattori più decisivi tra i tanti disponibili. A parte la tristezza del caso di studio, qui riemerge l'antica questione che da due secoli affascina e spaventa la civiltà umana. Ci piacerebbe che ci fosse una macchina in grado di dirci se lei mi amerà per sempre, se il mio capo mi darà una promozione, se la minoranza dem o i senatori Ncd alla fine molleranno Renzi, se il Torino vincerà lo scudetto. D'altro canto, ci spaventa: che cosa scriveremmo sui giornali, di che cosa parleremmo al bar, e – soprattutto – come impiegheremmo tutto il tempo che ora perdiamo a pensare, ripensare, creare, costruire, disfare le nostre relazioni umane?

 

La questione che il software MIT mette in gioco, però, è profonda, riguarda la nostra concezione della realtà, cioè la nostra filosofia comune. Due dati emergono, e speriamo che poi il software calcoli qual è il più influente. Il primo è che in effetti siamo esseri che si abituano. "L'uomo si abitua a tutto" mi diceva una vecchia saggia signora, con disincanto ma con simpatia. L'essere umano si è abituato a vivere negli sconcertanti gulag siberiani descritti da Shalamov e nella perpetua menzogna delle ideologie piccole e grandi, nelle miniere sottoterra e in una capsula nei cieli. E’ la sua forza e la sua debolezza. L'acquisire abitudini è il motore, non ancora perfettamente spiegato, dell'evoluzione ma è anche la causa della sua frequente accettazione di forme diverse di schiavitù (ricordate Grossman in “Tutto scorre!”). Quindi sì, il comportamento umano si può prevedere perché è capace di ripetizione e generalizzazione.

 

[**Video_box_2**]D'altro canto, non è vero che la prevedibilità esaurisce la descrizione dell'esperienza umana, come vorrebbe lo scientismo di ritorno – si chiama naturalismo – che è la mentalità dominante della nostra epoca. Se uno studia il ragionamento che presiede alle ipotesi scientifiche – che il suo più celebre studioso, Peirce, ha battezzato “abduzione”, il passaggio dal conseguente all'antecedente – scoprirà che la razionalità umana più vertiginosa e autentica non è prevedibile. Essa, infatti, dipende dal fatto che ci siano innanzitutto fenomeni sorprendenti, cioè mai capitati prima e non leggibili attraverso l'esperienza precedente, e in secondo luogo dalla capacità di lettura di questi fenomeni come "segni". In un convegno tenuto qualche anno fa a San Marino per Euresis, l'inventore del laser (Townes), lo scopritore della radiazione cosmica di fondo (Mather) e lo scopritore dell'ominide Lucy (Coppens) concordavano nel dire che per fare scoperte, cioè per leggere la realtà come segno, ci vogliono soprattutto senso estetico e dialogo vero, che alle volte può essere anche litigio. Sono fattori che non si possono calcolare e prevedere, e sono questi che producono sia i grandi salti in avanti della scienza sia quegli improvvisi slanci che cambiano i rapporti umani. Quando Socrate bevve la cicuta e i martiri cristiani non sacrificarono all'imperatore fecero gesti non calcolabili e cambiarono le civiltà. Dunque, si può stare tranquilli: nessun software ci toglierà il piacere di vedere se alla fine, liberamente, il Torino vincerà un altro scudetto e se qualche politico italiano, nonostante ogni previsione, ce la farà a staccarsi dal seggio in parlamento in nome di un qualche ideale.

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