Lo share non basta, ora la tv guarda Facebook per cambiare
Prendere le misure a Facebook, anzi a chi usa Facebook, per cercare di cucire loro addosso un prodotto sempre più vicino alle esigenze di chi si siede in poltrona col telecomando in mano. E' l'obiettivo di chi manda avanti la televisione, ossia la pubblicità, e della stessa televisione, per modellare programmi e programmazione, anche perché i sistemi tradizionali, sia Auditel che similari, sono ormai mezzi vecchi progettati in un'epoca che ormai non esiste più, o che se esiste ancora si sta estinguendo. Serve sapere, capire cosa va o non va, serve avere input dal pubblico. E quei poco più di quindicimila televisori collegati a un sistema che ne cataloga segnale e preferenze da telecomando ormai non fotografano più la teleutenza. E così (con ogni probabilità) da maggio, Nielsen, società americana specializzata nella misurazione dell'audience, rileverà anche segnalazioni, conversazioni e post su Facebook per monitorare l'andamento delle trasmissioni. Nulla di diverso da quello che già sta facendo su Twitter. Hashtag, tweet, retweet, preferiti, creano così una nuova metrica che valuta l'impatto dei programmi televisivi sui social network per capire cosa guarda, di cosa e su cosa discute il paese. Dati che verranno integrati a quelli tradizionali per offrire una panoramica il più possibile vicino alla realtà della fruizione televisiva.
Nessun problema di privacy, fanno sapere da Facebook. Tutto sarà inviato in modo anonimo, senza rivelare chi guarda e parla di cosa. Solo la posizione geografica verrà condivisa per esigenze di localizzazione dei dati. Rassicurazione comunque ininfluente dato che i dati della nostra privacy sono nelle mani del social network e accettati da tutti gli utenti al momento dell'iscrizione.
Un tassello importante in quello che è un tentativo di netflixare il monitoraggio dell'utenza televisiva, ossia il tentativo di avere il controllo più approfondito possibile di accessi e visualizzazioni dei programmi offerti in palinsesto (Netflix riesce a calcolare facilmente quanti utenti sono connessi, che cosa guardano, quando e per quanto tempo). E non potendo avere accesso ai dati precisi di visualizzazione dei telespettatori a causa della vetustà della tecnologia di trasmissione, cercano di ovviare a ciò moltiplicando le fonti di approvvigionamento dei dati e integrando a essi l'eco che i programmi televisivi hanno sui principali social network. E così in pochi anni si è passati da un calcolo dello share completamente in mano all'Auditel e calcolato dunque sulle preferenze di un piccolo nucleo campione di famiglie italiane, all'integrazione dei dati prima con lo streaming in diretta (Rai) e poi a quelli derivanti da Twitter (fornito da Nielsen). Un'integrazione che serve a chi negli ultimi anni ha investito nel digitale terrestre (ossia il nostro sistema di trasmissione di immagini della televisione italiana) e che vuole avere riscontri per ampliare oppure modificare l'offerta televisiva elargita gratuitamente.
Un cambio, quello del monitoraggio delle preferenze televisive via social network, che ha provocato movimenti di reti e capitali all'interno del panorama delle tv italiane. Non è un caso infatti che la decisione di Sky Italia di aumentare gli investimenti sulle reti che possiede sul digitale terrestre sia arrivata nei mesi successivi al nuovo metodo di rilevamento del pubblico televisivo. Dal lancio – il 16 dicembre 2009 – del canale generalista Cielo, il gruppo capeggiato da Rupert Murdoch aveva più volte mosso critiche al sistema di rilevamento del pubblico televisivo – Sky, in quanto pay tv, ha la possibilità di monitorare quasi completamente la sua teleutenza – chiedendo un adeguamento dell'analisi del pubblico da parte dei gruppi che effettuano la misurazione dell'audience. Una volta ottenuto uno spettro più preciso del pubblico Sky Italia ha prima potenziato il suo canale (passando dallo 0,82 per cento di media annuale del 2013 all'1,29 per cento del 2014 e all'1,31 del 2015), ha in seguito fatto debuttare Sky TG 24 e infine comprato dal gruppo Viacom International Medi Network il canale MTV Italia, ora MTV8.
[**Video_box_2**]Più offerta multimediale in chiaro per raggiungere tutta quella fascia di popolazione non interessata, almeno apparentemente, all'offerta in pay-per-view. E per invogliarla a considerare l'acquisto almeno dei pacchetti a pagamento: come nel caso della trasmissione dell'ultimo Gran premio della MotoGp che ha risolto, con polemiche annesse, lo scontro Mondiale tra Jorge Lorenzo e Valentino Rossi a favore del primo.
La centralità dei social network per il mondo della televisione era già stata sottolineata dal country manager di Facebook e Instagram per l’Italia, Luca Colombo: “Ai broadcaster spieghiamo che il loro prodotto ha una durata limitata nel tempo. Puoi essere bravo a creare notorietà prima della messa in onda, magari anche a farne parlare dopo, ma la trasmissione ha un inizio e una fine. Piattaforme come la nostra permettono di allungare il tempo e allargare lo spazio nei quali il prodotto vive e fa parlare di sé. Oggi però i produttori televisivi stanno cogliendo ancora troppo poco questa opportunità”.
E' la televisione che si evolve, che prova a capire dove sta andando. E' il mercato cambia, la pubblicità che chiede adeguamenti e nuovi modelli per controllare la bontà degli investimenti. E' la necessità di monitoraggio dei contenuti e del pubblico. E' quanto basta sapere per non correre nel complottismo gridato del "mi spiano pure Facebook". Per avere la tv gratuita davanti al divano è il più piccolo dei prezzi che vanno pagati.