Perché il governo italiano non gioca a fare il gladiatore con Google&Co.

Ermes Antonucci
Dibattito su presente e futuro dei media, in un report dell’Istituto Bruno Leoni sul sistema audiovisivo. Buone notizie per l’informazione online.

Il dibattito attorno alla regolamentazione, soprattutto fiscale, dell'attività svolta nei paesi europei dai giganti hi-tech americani – i cosiddetti Over the top (Ott): Google, Apple, Microsoft, Amazon, Facebook e tutti gli altri – è più volte sfociato in una sterile quanto pretestuosa caccia alle streghe. "Liberalizzare il mercato digitale, dando però una mano alle imprese europee" è il tentativo un po’ paradossale in cui si sono impegnati molti paesi e le stesse istituzioni Ue nell'affrontare il delicato tema della concorrenza e della tassazione del web. Un approccio che non ha mancato di mostrarsi anche all'interno dei nostri confini nazionali, ma dal quale il governo italiano esprime oggi l'intenzione di distanziarsi, sulla base di una prospettiva più attenta al libero mercato. Lo fa, con decisione, per bocca del sottosegretario allo Sviluppo economico Antonello Giacomelli.

 

"Di fronte all'attività degli Ott, alcuni paesi hanno scelto soluzioni gladiatorie, o che negli annunci volevano essere tali, ma i cui effetti non sempre sono stati pari a questa esibizione di muscoli, anzi, abbiamo visto delle retromarce piuttosto pietose", ha affermato in maniera netta il sottosegretario allo Sviluppo Economico a un convegno organizzato giovedì dall'Istituto Bruno Leoni proprio in tema di evoluzione del sistema audiovisivo. Né il sottosegretario è stato meno duro nei riguardi degli interventi che in alcune aree del continente si profilano all'orizzonte: "Il tentativo di Francia e Germania di dar vita ad un motore di ricerca che diventi l'alternativa a Google, che sia fortemente 'consigliato' alle scuole e che sia finanziato direttamente dai governi e sovvenzionato dai fondi Juncker, rappresenta un tentativo tra il patetico e l'autarchico; al pari delle normative severissime e draconiane, che poi hanno prodotto ben poco".

 

Il governo italiano, ha spiegato Giacomelli, non ha accettato di stare a questo gioco, fatto di manovre nella sostanza più simboliche e demagogiche che concrete, e ha invece voluto portare avanti un approccio basato su dialogo e pragmatismo: "Noi abbiamo provato ad affrontare il problema con il confronto, innanzitutto con l'amministrazione degli Stati Uniti, partendo dalla convinzione che bisogna costruire condizioni di integrazione dei modelli. Con Google e gli altri abbiamo così avviato un confronto, senza ovviamente tacere dei problemi, e qualche passo in avanti si è fatto. Il fatto che il garante italiano per la privacy sia stato il primo in Europa a siglare un accordo con Google, è un risultato significativo, anche se di certo non esaurisce la questione".

 

E la questione, spiegata in altri termini - quelli utilizzati da Franco Debenedetti, presidente dell'Istituto Bruno Leoni -, è molto semplicemente che nello sforzo di imporre regole e vincoli ai colossi digitali, i soggetti pubblici di regolazione "cercano di rincorrere affannosamente ciò che il mercato continua a proporre", apparendo così "come i nani che cercano di imbrigliare Gulliver".

 

Il mercato di Internet nel frattempo cresce, anche all'interno del settore dei contenuti editoriali, come illustrato da una ricerca realizzata proprio dall'Istituto Bruno Leoni e da e-Media Institute, dal titolo "Il sistema audiovisivo: evoluzione e dimensioni economiche". Quotidiani, periodici e libri continuano ad attrarre nel nostro Paese sempre meno risorse da parte di utenti e imprese, proseguendo la loro caduta verticale (meno 11,5 per cento tra il 2013 e il 2014). La televisione tiene, cedendo solo l'1 per cento, scavalcando in questa competizione al ribasso proprio l'editoria cartacea (raccogliendo 9,18 miliardi, contro 9,16). L'unico mezzo a salvarsi, neanche a dirlo, è Internet, che nel 2014 ha registrato una crescita del 16,3 per cento, attraendo risorse per 3 miliardi di euro. Un aumento che, tuttavia, non può compensare il crollo dell'intero mercato dei contenuti editoriali, che dal 2010 al 2014 ha visto bruciare in Italia circa 4,6 miliardi di euro.

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