Facebook tra privacy e business: perché se parliamo sempre meno di noi è un problema per Zuckerberg
“Facebook vuole che tu posti più te stesso”, ha titolato il 7 aprile Bloomberg. “Facebook lotta per fermare il declino nella condivisione di contenuti originali”, spiegava lo stesso giorno The Information. L’autorevole sito di informazione economica riferiva essenzialmente preoccupazioni filtrate dall’entourage attorno a Zuckerberg. L’altrettanto autorevole magazine specializzato nell’industria tecnologica vi aggiungeva misurazioni da cui si ricava che nell’ultimo anno la quantità di contenuti originali pubblicata su Facebook sarebbe calata del 21 per cento. Entrambi hanno lanciato il dibattito a riguardo dell’evoluzione del social network: molto meno diario pubblico di sé stessi; molto più rassegna stampa personalizzata. Un’evoluzione che potrebbe anche essere considerata una forma di maturazione degli 1,6 miliardi di utenti, non fosse che il risultato rischia però di essere micidiale per il tipo di business di Zuckerberg.
Aveva vent’anni Marck Zuckerberg quando nel 2004 inventò Facebook, per rintracciare gli ex-compagni di scuola su Internet. Ne aveva ventiquattro quando nel 2008 Forbes lo incoronò il “più giovane miliardario del mondo”. A 25, nel 2009, fu invitato al Forum Economico Mondiale di Davos. E a 26, con 4 miliardi di dollari nel portafoglio e mezzo miliardo di utenti, rilasciò una famosa intervista in cui annunciava niente meno che la morte della privacy. Era il 2010. “Il concetto di privacy che ho io non è lo stesso che ha mio padre ed è diverso anche da quello di una ragazzo di quattordici anni”, spiegò. “Sei anni fa nessuno voleva che le proprie informazioni personali fossero sul web, oggi il numero delle persone che rende disponibile il proprio cellulare su Facebook è impressionante. Per i miei genitori la privacy era un valore, per i miei coetanei condividere è un valore”.
Ma altri sei anni sono passati da allora, Zuckerberg è ora 32enne, e dopo aver sposato nel 2012 la pediatra figlia Priscilla Chan dallo scorso primo dicembre è lui stesso padre della piccola Maxima. E’ quasi una legge storica: quella che vede spesso i figli fare spesso il contrario dei genitori al costo di tornare sulle posizioni dei nonni. Maxima è ancora troppo piccola per poter ragionare in proposito, ma forse già tra gli adolescenti di oggi sta tornando di moda quel senso della riservatezza che Zuckerberg aveva dato un po’ prematuramente per defunta. “Faccio parte di una generazione diversa dalle altre, la prima ad essere cresciuta con Internet. Sono stato abituato fin da piccolo a vedere cose nuove, tecnologie interessanti, cresciuto con Napster, Wikipedia, Aol, e tutto il resto. Facebook è un'evoluzione naturale, perché non fa altro che rimettere al centro il motivo stesso della esistenza di Internet, la connessione tra persone. E si sta trasformando in altre cose. È un momento fantastico, non credo che finirà presto”, aveva previsto in quell’intervista. Parlando tanto di sé, gli utenti permettevano infatti una straordinaria possibilità di offerta pubblicitaria su misura: so i tuoi gusti e interessi; posso proporti proprio ciò a cui so che ti sarà più difficile dire no. E sulla possibilità di garantire questa offerta nei lunghi periodi Facebook puntava per assicurarsi il grosso dei propri guadagni.
Proprio in quella stessa famosa intervista del 2010, però, Zuckerberg avvertiva che comparare l’arrivo di Internet a quello della televisione non era “paragone corretto, perché la tv è unidirezionale, mentre il web ti consente una forma di partecipazione assolutamente inedita, ti consente di entrare in contatto con tutti, partecipi alle discussioni anche con il governo, e questo non è mai accaduto prima. Ed è solo l'inizio di ulteriori cambiamenti perché man mano Internet diventa un esperienza sempre più personale”. Dunque, forse avrebbe dovuto mettere in conto che l’evoluzione sarebbe stata più rapida. È vero pure che una gran parte di utenti di Facebook non è affatto costituita da adolescenti ma da gente di tutte le fasce sociali. Facile dunque sospettare che gli “anziani” all’inizio si siano fatti soffocare dall’egocentrismo narcisista della generazione dei selfie, ma poi abbiano forse iniziato a ripensarci. Fisco, scandali di intercettazioni, utilizzo massiccio da parte dei media di gaffes e informazioni tratte dalle reti sociali, bullismo in rete: sono solo alcune delle cose che hanno contribuito al generale ripensamento. I dati mostrano però che è dagli utenti sotto i 30 anni che viene il calo maggiore di contenuti originali: dunque, la nuova generazione post-Zuckerberg è già incominciata. Facebook di questo narcisismo sul web era stata la punta di lancia. Per questo, adesso la condivisione di contenuti originale cala a un ritmo quattro volte superiore, rispetto al 5,5 per cento delle reti sociali in genere. Piuttosto che le loro foto, video o confessioni gli utenti scambiano dunque su Facebook sempre più clip musicali o articoli di giornale. Facebook diventa una versione più personalizzata di YouTube o di Google News.
Già un anno fa il calo era a due cifre: per questo Zuckerberg se ne accorse e rilanciò l’allarme che riecheggia ora. Qualche soluzione tecnica fu allora messa a punto: dall'estensione delle funzionalità Live Video allo snellimento dell'applicazione Facebook di Android per rendere più semplice pubblicare, passando per quella funzione “On this day” che segnala vecchi post da ricondividere e per la modifica dell'algoritmo in modo da far apparire sulla homepage un maggior numero di contenuti originali. Ultimissimo, il video con cui Zuckerberg ha invitato gli iscritti a pubblicare video di qualsiasi cosa volessero grazie a nuove modalità sempre più facili. Nuova rivoluzione, o ammissione implicita della crisi?