Qual è la posta in ballo nell'accusa antitrust dell'Ue contro Google
Roma. Margrethe Vestager, commissaria europea alla Concorrenza, ha formalizzato l’accusa di abuso di posizione dominante contro Google, affermando che la società fa uso di pratiche “contrarie al diritto europeo” sull’antitrust con il suo sistema operativo per telefonini, Android. La mossa era stata ampiamente anticipata, ed è la formalizzazione di un’indagine aperta un anno fa. All’inizio della settimana, Vestager aveva paragonato l’indagine contro Google alla celebre vertenza dell’Ue nei confronti di Microsoft: allora il commissario europeo era Mario Monti, e la multa da 1,64 miliardi di euro imposta per violazione delle regole antitrust costituì un precedente storico.
Nello “statement of objections” presentato mercoledì, Vestager accusa Google di promuovere i suoi prodotti alle spese della concorrenza, costringendo le società che producono smartphone e che vogliono installare il sistema operativo Android a installare anche le app di Google. Android è un sistema operativo open source, e questo vuol dire che chiunque può installarlo gratuitamente e modificarlo a suo piacimento. Ma se Samsung, Motorola, Htc e le compagnie produttrici vogliono installare l’app store di Google (Play Store), e quindi dare accesso ai loro utenti all’ampio parco di app supportato da Android, sono contrattualmente obbligate a installare anche l’intero pacchetto di app di Mountain View, come quella per la ricerca, quella per le mappe o il browser Chrome. L’anno scorso, secondo dati dell’analista Richard Windsor citati da Reuters, Google ha fatturato circa 11 miliardi di dollari grazie agli introiti pubblicitari delle sue app installate su Android. Le altre accuse della Commissione sono un po’ più tecniche: Vestager sostiene che Google, attraverso un “accordo anti frammentazione”, impedisce ai produttori che hanno installato Android su certi smartphone di installare versioni modificate del sistema operativo (“fork”) su altri device. Inoltre, accusa Mountain View di dare “significativi incentivi fiscali” alle case produttrici di device e agli operatori telefonici affinché “preinstallino in maniera esclusiva Google Search”.
Insomma, dice la Commissione, il paragone con il caso Microsoft c’è tutto: attraverso pratiche contrarie al mercato Google danneggia la concorrenza infilando le sua app nel sistema operativo e limitando la libertà di scelta dell’utente. In realtà, come hanno notato gli analisti e ha evidenziato la stessa Google in un comunicato ufficiale pubblicato sul suo blog europeo, le differenze sono molte. Android è un software open source che non lega a doppio filo sistema operativo e app come succedeva con Windows e Internet Explorer. Le case produttrici decidono su base volontaria se installare il pacchetto di app di Google (che però è inscindibile), sono libere di preinstallare anche app della concorrenza, e al contrario di quello che succedeva con Microsoft gli utenti non sono obbligati a usare le app di Google come predefinite. In pratica, sostiene il vicepresidente Kent Walker, autore del comunicato, non è vero che danneggiamo la concorrenza, gli utenti possono scegliere. Soprattutto, Walker si concentra su quella che forse è l’accusa più grave, quella di indebolire non solo la concorrenza ma anche l’innovazione, come ha detto Vestager in conferenza stampa. Per una compagnia della Silicon Valley, e soprattutto per Google, essere definita anti innovazione è un marchio d’infamia che deve essere lavato immediatamente. In effetti le affermazioni della commissaria, riferite a un mercato come quello degli smartphone, ad alto tasso di innovazione e dove la concorrenza con Apple è feroce, appaiono fuori fuoco. Google ha 12 settimane per rispondere nel merito ai rilievi della Commissione. Se il procedimento dovesse andare avanti, rischia una multa che potrebbe arrivare a 7,4 miliardi di dollari, pari al 10 per cento dei suoi guadagni nell’ultimo anno.
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