La guerra dell'Ue contro Google e la paura per le idee rivoluzionarie
Roma. La scorsa settimana la polizia francese è entrata in forze nel quartier generale di Google a Parigi per requisire materiale per un’indagine di evasione fiscale, in un’operazione degna di un grande raid contro il narcotraffico. Le autorità europee, intanto, continuano le loro indagini su due differenti accuse di antitrust mosse contro la società americana, che deve affrontare diverse grane in gran parte del Vecchio continente. “In Europa ci sono moltissimi problemi che devono essere risolti, richiederà tempo”. Eric Schmidt, ex ceo di Google, oggi presidente della società americana, ha molte buone ragioni per non essere contento di come vanno le cose in Europa. Da anni, e con un’accelerazione negli ultimi dodici mesi, Google ha subìto uno smacco dietro l’altro per mano dei governi europei e delle autorità comunitarie. Ma Schmidt, parlando la scorsa settimana con la giornalista Julia Chatterley di Cnbc, ha messo in luce, con alcune battute fulminanti, come il problema vada ben oltre le grane legali e amministrative, sia strutturale, e riguardi in maniera fondamentale l’incapacità europea di maneggiare l’innovazione.
A Parigi l’opération Tulipe ha coinvolto quasi cento agenti, novantasei per la precisione, che martedì scorso hanno sequestrato dal quartier generale di Google documenti e una caterva di materiale informatico, così tanto che “ci potranno volere molti mesi”, se non “anni”, per analizzarlo tutto, ha detto la procuratrice Éliane Houlette parlando domenica a Europe 1, lamentandosi degli scarsi mezzi a sua disposizione. “E’ un po’ come il combattimento tra David e Golia”, ha aggiunto, compiaciuta e certa che sia lo stato francese, e non un’azienda privata, il David svantaggiato. Google, che ha la sua sede europea in Irlanda, dove il regime fiscale è favorevole, è accusata in maniera più o meno aperta di elusione fiscale in mezzo continente. Ma mentre, per esempio, la società americana all’inizio dell’anno ha raggiunto con il governo del Regno Unito un accordo da 130 milioni di sterline (circa 170 milioni di euro) per sistemare tutti i conti eventualmente in sospeso, e indiscrezioni di stampa danno da tempo un accordo simile in fase di negoziato con l’Italia, i francesi hanno deciso di usare il pugno di ferro. Subito dopo il raid parigino, Google ha garantito la “massima collaborazione con le autorità francesi”, ma il ministro delle Finanze Michel Sapin ha detto ieri in un’intervista con Reuters che il governo “andrà fino in fondo”. Una fonte del ministero rese noto alla stampa francese a febbraio che Parigi mira a ottenere da Google 1,6 miliardi di euro di proventi fiscali.
“Non ci saranno accordi come in Regno Unito… non ci saranno negoziati”, ha aggiunto il ministro, che anzi ha annunciato che potrebbero esserci altri casi. Due giorni dopo il raid contro Google le autorità francesi hanno già fatto irruzione anche nel quartier generale locale di McDonald’s. La situazione, per Google e per le grandi multinazionali americane in Europa, è preoccupante anche al netto della furia del governo socialista francese. Google, oltre alle grane con i singoli stati europei, deve difendersi da due diverse accuse per antitrust della Commissione europea, e ha già dovuto subìre un giudizio avverso sul caso ormai celebre del diritto all’oblio. Questa non è, dunque, una guerra tra Google e la Francia, né, come mostra il caso McDonald’s (e il caso Apple, il caso Facebook…) una guerra tra Google e l’Ue. Piuttosto, è lo scontro tra due diversi modelli di fare (o non fare) innovazione, ed è su questo che Eric Schmidt ha deciso di intervenire.
Un modello di imprenditorialità
Parlando la settimana scorsa in un’intervista poi ripresa ieri da Business Insider, Schmidt ha fatto un elenco interessante di tutti i mali che colpiscono il mondo imprenditoriale e il mercato dell’innovazione europei. “Noi (a Google) assumiamo migliaia di europei perché loro, in patria, non hanno delle startup dove andare”, come a dire: se vi rubiamo i talenti migliori la colpa è solo vostra. I problemi iniziano dalle università, che rispetto alle università americane sono “sottofinanziate, e di molto”. Qui Schmidt non invoca più soldi pubblici ma, implicitamente, cita il modello universitario americano, basato sull’investimento privato, la concorrenza tra atenei e il for profit. “Poi c’è una montagna di leggi che rendono difficile diventare un imprenditore. E’ ancora molto più difficile essere un imprenditore in Europa che in America, dal punto di vista dei regolamenti, delle politiche fiscali, del tempo necessario per avviare un’azienda”. Come mostra il caso francese, e come mostrano, per esempio, le asperità del commissario europeo alla Concorrenza Margrethe Vestager, autrice delle principali indagini dell’Ue contro la Silicon Valley, parte del problema è anche l’atteggiamento della classe dirigente europea.
“Quando mi incontro con i governanti europei (per sollevare questo tipo di problemi) loro dicono sempre tutti ‘sì’ e ascoltano molto attentamente. Sono molto gentili. Gli europei sono sempre molto gentili. Ma poi non fanno niente per risolvere questi problemi”. C’è una certa esasperazione nelle parole di Schmidt. Google ha una lunga storia di contatti e abboccamenti con le istituzioni comunitarie, che nonostante i buoni propositi reciproci si sono sempre scontrati nelle incomprensioni più disparate. Ma più ancora che le dispute sulle tasse e sulle posizioni dominanti di mercato, il problema è appunto strutturale, di modello. “Se si vuole fare qualcosa il modello di imprenditorialità esiste già. Richiede propensione al rischio, capitali, investimenti seri nelle università, e la capacità di sostenere le pazze idee dei giovani che escono dagli atenei, dare loro dei fondi, lasciarli fare, e togliersi dalla loro strada”. E’ qui il segreto del successo dei giganti della Silicon Valley, che non si basa soltanto sull’abbondanza dei capitali e sull’eccellenza educativa, ma anche sulla capacità di riconoscere chi ha le idee migliori, e di aiutarlo. E’ quello che Schmidt ha fatto con i fondatori di Google, Brin e Page, ex ragazzacci che lui, amministratore saggio e ceo della società dal 2001 al 2011, è stato capace di sostenere e far crescere. “Questo modello funziona. Ha creato una ricchezza incredibile in America. Ed è perfettamente replicabile in Europa”. Ma le soluzioni, appunto, prima che pratiche riguardano una certa mentalità. L’Europa deve smettere di avere paura delle idee rivoluzionarie.