Pokemon Go e la realtà aumentata sono un affare più serio dell'isteria pop
Roma. Appena una settimana fa pensavamo che la realtà virtuale fosse una cosa per smanettoni nerd che inforcano giganteschi occhialoni in vendita a prezzi spropositati per giocare a videogiochi troppo difficili per i comuni mortali. Una cosa da fiera di tecnologia, un’innovazione forse importante, forse rivoluzionaria, ma lontana, ancora da applicare alla vita reale. Una settimana dopo una app di realtà virtuale (o meglio, di realtà aumentata) ha conquistato in un giorno più utenti di Tinder, si prepara a superare Twitter, ha generato miliardi di dollari di guadagni in Borsa ed è già oggetto di ossessione morbosa per migliaia di persone. Pokemon Go è una app per smartphone che usa la realtà aumentata per riprodurre nel mondo reale l’esperienza dei videogiochi e dei cartoni animati del famosissimo franchising giapponese, in cui il protagonista gira per il mondo per catturare i mostriciattoli Pokemon e farli lottare tra loro per sport.
Al contrario della realtà virtuale, che grazie ai succitati occhialoni immerge l’utilizzatore in un mondo tutto inedito, la realtà aumentata aggiunge elementi digitali a ciò che vediamo normalmente. Nel caso specifico, chi gioca a Pokemon Go inquadra con la fotocamera dello smartphone una porzione di realtà (la scrivania dell’ufficio, un marciapiede, un’aiuola) e vi può vedere un Pokemon passeggiare sopra. Dal giorno alla notte milioni di persone hanno preso a usare una tecnologia che sembrava per iniziati, compresi un marito in sala parto durante il travaglio di sua moglie, un soldato americano sul fronte della battaglia contro lo Stato islamico per la riconquista di Mosul, la polizia di New York e i marines americani, che hanno twittato immagini di Pokemon dai loro account ufficiali. Con la sua diffusione rapidissima, l’isteria generata sui social network (ormai pieni di ragazzi più o meno cresciuti che postano video e foto in cui catturano Pokemon) e gli infiniti articoli acchiappaclic pubblicati sui media, Pokemon Go è soprattutto un fenomeno pop. Ma è anche la prima efficace applicazione alle masse della realtà virtuale/aumentata, e segna una strada completamente nuova rispetto al passato.
La realtà virtuale fa parte della triade di innovazione (completata dall’intelligenza artificiale e dall’uso del linguaggio naturale da parte delle macchine) che secondo molti analisti dovrebbe cambiare l’industria dell’intrattenimento, quella della cultura e ancora oltre. Un gioco come Pokemon Go rompe il rapporto binario tra l’occhio e lo schermo che finora è stato il nucleo di ogni esperienza ludica e culturale (videogiochi, ma anche cinema, tv, libri/ebook), moltiplica le interfacce e amplia le percezioni. Lo schermo c’è ancora (quello dello smartphone) ma è un mezzo, una lente attraverso la quale interagire con una realtà modificata o con altri giocatori/spettatori. Questo oltrepassamento dello schermo è la chiave per una rivoluzione nel cinema, nella televisione e perfino nella lettura in digitale che ancora non è arrivata e per molti versi non è stata pensata.
Ma il cambiamento si genera anche a un livello che si potrebbe perfino definire filosofico. Guardare il mondo attraverso la realtà artificiale/aumentata modifica non solo la percezione, ma anche la comprensione di ciò che è reale, allo stesso modo in cui l’intelligenza artificiale, l’interazione con una macchina che un giorno penserà e parlerà come un uomo, modifica la comprensione di ciò che è umano. Portato agli estremi, questo significa che ciò che è reale, ciò che è umano, ciò che è vero potrebbe iniziare a dipendere dall’interfaccia che si usa. E’ quell’integrazione, non solo tecnica ma anche antropologica tra reale e digitale che scrittori di fantascienza e futurologi hanno predetto per decenni, ma che nessuno immaginava sarebbe arrivata alle masse, nella sua forma embrionale, proprio dai Pokemon. In misura infinitesimale, Pokemon Go ha già applicato una leggera patina di realtà aumentata alla comprensione del mondo di chi ci gioca. Per chi scrive, dopo aver provato la app, il bar dietro alla redazione del Foglio è diventato un Pokestop, luogo dove nel gioco si raccolgono gli strumenti necessari per la caccia al mostriciattolo digitale.