Il successo di Pokémon Go è un esperimento di “auto disruption” di Google
Roma. Pokémon Go è una storia di: impazzimento collettivo, bolla mediatica, penetrazione della realtà aumentata nella vite di tutti i giorni, una montagna di soldi in arrivo per le compagnie coinvolte, eccellenti occasioni di sociologia spicciola, nuovi zombie che girano con lo smartphone per le strade, adulti che non capiscono i giovani, giovani che non capiscono perché gli adulti non li capiscono, adulti che provano a risentirsi giovani. Ma risaliamo un poco il flusso dell’esaltazione per la novità, e Pokémon Go – il gioco gratuito di realtà aumentata che consente agli utenti di andare in giro per il mondo a catturare mostriciattoli da far combattere tra loro e che è diventato una delle app di maggior successo di sempre – è la storia di Niantic, spinoff di Google dal successo esplosivo e inatteso, e del suo ceo John Hanke, un ex dirigente della grande G poco conosciuto anche agli addetti ai lavori fino a pochi giorni fa, oggi profeta della nuova religione pokemon, già praticata da un americano su dieci (in Italia i dati non sono disponibili, ma li immaginiamo simili). Forbes ha pubblicato questa settimana la “inside story” di Niantic e di Hanke, ed è un esempio eccezionale di visione, testardaggine e capacità di riconoscere la vera innovazione. Niantic, infatti, fino a un anno fa era un progetto stravagante e a rischio di cancellazione di Google, Pokémon Go un pesce d’aprile e Hanke un semplice ingegnere, sebbene di livello dirigenziale (ha contribuito al lancio di Google Earth e supervisionato Maps).
Niantic nasce nel 2010 come una divisione segreta di videogame all’interno di Google, e come atto di fiducia della dirigenza nei confronti di Hanke, esperto del servizio di mappe, che sognava da tempo, si legge su Forbes, di poter unire la sua occupazione topografica con la sua passione per i videogiochi. Di regola Google, come molte altre compagnie della Silicon Valley, concede ai suoi ingegneri un 20 per cento del proprio tempo in ufficio per dedicarsi ai loro progetti personali, con la consapevolezza che lasciar libera la creatività dei dipendenti può portare vantaggi anche all’azienda. Tra questi “progetti personali” Google ha scovato per esempio Gmail, e anche Niantic è uno di essi. Come spesso avviene in questi casi, il colpo di genio di applicare la realtà aumentata ai Pokémon avviene per caso. Nella primavera del 2014, Google pubblica il suo tradizionale pesce d’aprile: un video in cui i ragazzi usano Google Maps per catturare i Pokemon, l’esatto principio che due anni dopo farà funzionare Pokémon Go. Nessuno aveva consultato Hanke per quel video, considerato niente più che uno scherzo, ma il capo di Niantic rimane fulminato. Consulta l’autore del video, Tatsuo Nomura, e si fa organizzare un incontro con Tsunekazu Ishihara, il presidente della Pokémon Company, che convenientemente ha i suoi uffici nella stessa sede di Google Giappone.
Nel frattempo, però, il destino di Niantic è in bilico. Dopo anni di esistenza, la società interna a Google non ha generato nessun prodotto rivoluzionario, e il suo gioco del 2012, Ingress, non ottiene un gran successo nonostante un seguito solido. Un anno fa, mentre Google si trasformava in Alphabet, in molti pensavano che la compagnia di Hanke andasse riassorbita e i suoi componenti assegnati a nuovi incarichi. E’ avvenuto il contrario, e qui sta la prova che grandi aziende come Google non hanno ancora perso la capacità di auto innovarsi. A Niantic è stata concessa la possibilità di un completo spinoff, cioè di diventare una compagnia indipendente con un nuovo pool di finanziatori (tra gli altri Andreessen Horowitz e Kleiner Perkins Caufield & Byers). E’ stato un gesto di “auto disruption”, perché Google ha mantenuto una quota di solo il 30 per cento dentro a Niantic, tagliando così le proprie possibilità di guadagno ma al tempo stesso dando ad Hanke quella elasticità necessaria per creare il suo prodotto rivoluzionario, Pokémon Go, a cui tutto il mondo sta giocando.
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