Protezionismo e multilateralismo sono mali equidistanti per internet
Roma. Due nemici apparentemente opposti minacciano l’esistenza di internet per come lo conosciamo. Da un lato il multilateralismo dell’Amministrazione americana di Barack Obama rischia, secondo alcuni, di aprire parte della governance della rete a governi dittatoriali o non democratici e interessati alla censura globale come la Cina, la Russia e l’Iran. Dall’altro il protezionismo europeo mette in pericolo la concorrenza digitale e potrebbe arrivare a minare alcuni princìpi di libertà d’espressione che hanno fondato la rete.
Del protezionismo europeo si è scritto molto. La maximulta – o meglio, la maxi restituzione fiscale – comminata dalla Commissione europea contro Apple ne è certo il caso più lampante, ma mercoledì la Commissione ha avanzato una nuova proposta di legge sul copyright digitale i cui effetti a lungo termine potrebbero essere ancora più decisivi. La proposta è il risultato di un intenso lavorìo di lobbying che ha visto opposti i gruppi e i cartelli dei produttori di contenuti (audio, video, media) e i giganti americani della Silicon Valley, Google in prima fila, e in cui questi ultimi sono risultati perdenti. La Commissione intende ritirare la protezione legale da sempre accordata ai grandi fornitori di servizi online, come Facebook o la piattaforma video YouTube, di proprietà di Google, per le infrazioni del copyright compiute dai loro utenti. Finora, se un utente di YouTube carica un video pirata, YouTube non ha l’obbligo di vagliare il materiale per controllare la sua liceità, ma solo di rispondere prontamente a eventuali segnalazioni. Soprattutto, YouTube è protetta legalmente dalle infrazioni dei suoi utenti, secondo un principio che, nato in America e trasferitosi in Europa, pone l’attività di internet sotto l’ombrello della libertà d’espressione. Le major combattono da sempre contro la protezione legale delle compagnie di internet, perché secondo loro è un ostacolo al contrasto alla pirateria, e negli ultimi mesi hanno alzato di molto il livello di lobbying in sede Ue. Il risultato è che adesso la Commissione pretende che i fornitori di servizi online controllino in maniera proattiva, filtrandole prima della pubblicazione, tutte le eventuali violazioni del copyright, rendendo internet “un luogo dove ogni cosa che viene caricata deve essere approvata dagli avvocati prima di raggiungere un’audience”, ha scritto Google in un comunicato ufficiale, e di conseguenza rendendo le compagnie di internet responsabili per i contenuti dei loro utenti. Questa proposta, se approvata dal Consiglio e dal Parlamento europei, porrebbe fine a uno dei princìpi che hanno consentito la formazione della rete quale è oggi, e che difende come libertà di parola tutto ciò che è caricato online al netto di violazioni, senza censure preventive.
Dall’altro lato dell’Atlantico, l’Amministrazione del presidente Barack Obama sta per giungere alla conclusione di un lungo iter per porre fine al patrocinio americano sulla governance di internet. Dal 1998 il dipartimento del Commercio americano controlla infatti l’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), ente con numerosi compiti di gestione internazionale della rete, il più importante dei quali è l’amministrazione degli indirizzi Ip e dei domini. Per quasi vent’anni, il governo americano ha gestito questa parte importante dell’amministrazione di internet, evitando ingerenze e intrusioni. Ma da due anni a questa parte le rivelazioni delle attività di spionaggio dell’Nsa da parte di Edward Snowden e la sfiducia nei confronti del ruolo di controllore dell’America hanno fatto gioco a molti paesi stranieri e consentito loro di chiedere a Washington di cedere le redini dell’Icann. Obama ha acconsentito, e alla mezzanotte del 30 settembre il controllo dell’ente passerà a un organismo multilaterale in cui i governi dovrebbero avere soltanto ruoli di consulenza. In teoria, che l’Icann diventi un organismo totalmente indipendente è una buona notizia. Ma documenti riservati pubblicati dal Wall Street Journal mostrano come governi dittatoriali e non, dalla Cina alla Russia alla piccola Svizzera, già progettino di aumentare il ruolo dei singoli stati su una parte importante della governance globale di internet. Il Congresso a maggioranza repubblicana sta cercando di impedire il passaggio di consegne, e il senatore Ted Cruz, l’ex candidato alle primarie, ne ha fatto in questi giorni l’oggetto principale della sua attività parlamentaria. I sostenitori del passaggio dicono che i poteri dell’Icann sono molto limitati, ma il patrocinio americano, almeno finché non si troverà una soluzione più adeguata, rimane comunque un freno notevole ad ambizioni di controllo e censura globale di internet che molte potenze non democratiche hanno espresso a più riprese. Il principio è che un freno a queste ambizioni, anche piccolo, può essere fondamentale.